Stefanini e il fascismo

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Luigi Stefanini inizia sin dall’adolescenza il suo impegno nella vita civile trevigiana. In particolare nell’ambito dell’associazionismo cattolico, sorto fiorente nel periodo giolittiano. Nel 1907, sedicenne, è fondatore, e poi assiduo collaboratore, del cittadino Circolo Giovanile cattolico “S. Liberale”, primo nucleo della nuova Azione Cattolica giovanile. È segretario provinciale e poi regionale di Azione cattolica giovanile, carica da cui si dimette nel 1923, per divergenze con l’autorità ecclesiastica e perché l’impegno nell’insegnamento e nello studio era diventato eccessivo.  La sua formazione è dunque del tutto sotto l’impronta di una convinta religiosità cattolica e di impegno sociale, che egli non abbandonerà mai.

In questo contesto stringe amicizie nell’ambito delle personalità che si distinguono a livello dirigenziale, in particolare ricordiamo l’amicizia che lo lega a don Enrico Pozzobon, direttore del periodico di azione cattolica “La Fiamma”. Pozzobon scrive così: «Giovane cattolico e fascista! No assoluto. Il fascismo non salva la patria, ma sostituisce alle violenze leniniste quelle fasciste o degli agrari che si reggono con la forza della violenza. La violenza di oggi genererà quella di domani» (“La Fiamma. Organo della Federazione giovanile diocesana di Treviso”, I, 1, 19 giugno 1921). Qualche mese dopo: «Il nemico contro cui la Gioventù Cattolica Italiana è chiamata a battersi, in una lotta meravigliosa di principio e di idealità, è proprio il fascismo. Noi fummo sempre di questo pensiero anche quando altri pensava diversamente su questo nuovo partito in sorgere. I fatti – un po’ in ritardo – diedero ragione a noi. E ormai non vi è più nessun cattolico, il quale non pensi che il fascismo è partito anticlericale, anzi, direi meglio: è la massoneria ammodernata a seconda del costume e del capriccio dell’età presente … quindi, voi capite subito che tra Cristo e Belial, non vi può essere mai nessun patto, nessuna intesa, nessun accordo, giacché mai si potranno accordare: luce e tenebre, fuoco e acqua, verità ed errore, odio e amore. Così tra Gioventù cattolica italiana e Partito nazionale fascista corre l’abisso. Siamo due giovinezze, due civiltà, ma quanto diverse! […] So che scrivendo queste righe io stesso domani potrei avere un biglietto di sfida».

Nell’assemblea generale della Gioventù Cattolica tenutasi a Venezia nel settembre 1922, Stefanini è tra i pochi «a riaffermare vigorosamente l’inconciliabilità teorica e pratica del fascismo con il cristianesimo».  Tutto questo si traduce nell’opuscolo La nuova Costituente. Programma e metodo della Società della Gioventù Cattolica (Vicenza 1922).

Un altro grande amico di Stefanini in questi anni è Giuseppe Corazzin, mancato nel ’25 per una grave malattia, ma anche per i postumi di una aggressione fascista, che lo aveva massacrato qualche mese prima. Questo il discorso di Stefanini al funerale dell’amico: «La tua idea [era il titolo del periodico diretto da Corazzin, fino a che le violenze fasciste non ne distrussero la redazione] non fu cullata tra i fantasmi del sogno, ma nutrita di sacrifici, di intensa, febbrile attività. […] La tua idea: la religione degli avi, in cui fummo allevati, non deve morire con le preghiere dell’infanzia, non deve languire nello squallore dei templi abbandonati, ma, memore delle antiche grandezze, deve riprendere il suo posto di comando non pure nelle coscienze individuali, ma nella famiglia, nelle scuole, nelle assemblee, arbitra di quel civile consorzio che essa compose e che essa santifica. La tua idea: il grande problema dei nostri giorni, l’antitesi tra le forze produttrici e le forze redentrici del lavoro, sia risolta non con la lotta violenta di queste, non con la sopraffazione prepotente di quelle ma nell’accordo cristianamente voluto, frutto della carità più che del diritto e il diritto riconosciuto agli altri come espressione del dovere riconosciuto anzitutto a se stessi. […] La tua idea? Non solo la tua idea è al di sopra di te stesso; vive nei secoli. Ne sono schiavi coloro che in vita ti furono avversi. Ma la tua fede fu tutta tua, personale, originale, incarnata e trasfusa in ogni accento, in ogni atto, sì da rendere eloquente la tua sola presenza com’era affascinante e travolgente la tua parola».

Negli anni che portano alla trasformazione del fascismo da movimento in regime, cioè negli anni che precedono la firma dei Patti Lateranensi, il clima muta radicalmente e Stefanini segue le indicazioni del Papa e delle gerarchie ecclesiastiche, soprattutto nella stagione che si apre all’indomani dell’11 febbraio 1929.

Impegnato a tempo pieno nell’insegnamento liceale, negli studi e nella carriera accademica (nel 1925 ottiene la libera docenza), sin dai primi Anni Venti si dedica alla elaborazione di una fortunata serie di manuali per i licei e gli istituti magistrali, che conosceranno numerosissime ristampe. Obbedendo alle leggi dello Stato fascista, questi manuali contengono in appendice note integrative sulla dottrina del fascismo e il testo dei programmi delle scuole elementari. Le ristampe degli Anni Trenta, quando i controlli di un stato divenuto etico sono sempre più stretti, paiono assolvere ad un obbligo, pagare uno scotto al regime; lo sforzo di conciliare tematiche storico-filosofiche e dottrina dello stato etico e corporativo è evidente.

Nel 1938 la censura fascista interviene per impedire la pubblicazione di quattro pagine de Il momento dell’educazione, opera importante di analisi dell’esistenzialismo e della fenomenologia, correnti filosofiche sorte di recente in Europa; nelle pagine censurate sono presenti riferimenti contrari alla fumosità ed al misticismo antiumanistico di certa parte della cultura tedesca e della politica del nazismo.

Per quanto riguarda i suoi rapporti “istituzionali” con il regime, la sua iscrizione al Partito Nazionale Fascista è del 5 dicembre 1932. Gli insegnanti che non avessero provveduto alla iscrizione al PNF non avrebbero potuto partecipare ai concorsi, né come concorrenti né come commissione giudicante. Inoltre, sempre nel dicembre 1932, giura fedeltà al regime fascista, a seguito del Regio Decreto n. 1227 del 28 agosto 1931, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del regno d’Italia l’8 ottobre 1931, n. 233, che obbligava tutti i docenti di Istituti di istruzione superiore ed universitaria a prestare giuramento di fedeltà al regime.

La sua tessera di iscrizione al partito è la n. 2759 del Fascio di combattimento di Padova. L’Archivio non la conserva, ma il numero è rimasto in quanto segnato sulle varie domande presentate per i concorsi. «Il 3 marzo 1931 il Gran Consiglio del Fascismo stabilisce che la chiusura delle iscrizioni al PNF, decretata nel 1926, debba rimanere in vigore fino al 29 ottobre del 1932, decennale della marcia su Roma» (TURI, Giovanni Gentile, p. 412). Questo potrebbe spiegare una così tardiva iscrizione al Partito. D’altronde, come è stato sottolineato, «le adesioni al PNF del 1932 sono da considerarsi adesioni ritardatarie, sollecitate dal Rettore e dalle autorità, dopo la riapertura delle iscrizioni al PNF, quando era diventata di fatto obbligatoria per non essere esclusi dalle commissioni giudicatrici dei concorsi e da altri importanti uffici pertinenti al normale svolgimento della vita accademica» (cfr. A. VENTURA, Le leggi razziali e l’Università di Padova, in L’Università dalle leggi razziali alla Resistenza, CLEUP, Padova 1996, pp. 131-204).

Con questo Stefanini si adegua al comportamento della quasi totalità degli insegnanti italiani. Non ci sono, tuttavia, da parte sua, nemmeno aperte prese di posizione che manifestino un dissenso politico preciso.

Intervengono gli avvenimenti drammatici della seconda guerra mondiale. Proprio il periodo 1940-43 vede Stefanini Preside di Facoltà. L’incarico prestigioso segna il successo accademico e personale. Dalla presidenza di Facoltà si dimette dopo l’8 settembre ’43, in concomitanza con la nuova fase del conflitto; la guerra diventa, anche, guerra civile con tutte le conseguenze ben note. Anche la situazione interna all’Università di Padova è complessa e difficilissima: da una parte il ruolo che Concetto Marchesi ed Ezio Franceschini rivendicano al “glorioso Ateneo”, dall’altro la presenza della Repubblica Sociale Italiana con tutto ciò che questo fatto comporta e che vede la convivenza, a Padova, dell’Ateneo, del Ministero dell’Educazione Nazionale e del relativo ministro Carlo Alberto Biggini, trasferiti a Padova dopo l’8 settembre ’43.

Stefanini esaurisce gli impegni dell’insegnamento nell’anno accademico 1943-44, e dal mese di maggio, dopo aver vissuto i gravi bombardamenti che hanno colpito Padova, analogamente ad altre città del Veneto, e che hanno pesantemente danneggiato la sua casa, trasferisce la famiglia in provincia di Treviso dove, con i familiari, trascorrerà molti mesi sino alla fine del conflitto.

Nel periodo 43-45, soprattutto in riferimento all’anno 1944, Stefanini, in ragione dei suoi precedenti incarichi istituzionali all’Università – vedi Presidenza di Facoltà – riceve ripetuti inviti ad aderire alla Repubblica di Salò, e di partecipare ai colloqui di Gargnano, cui prende parte lo stesso Mussolini. A tutto questo oppone un netto e definitivo rifiuto.

Nello stesso anno 1944 pubblica il saggio intitolato La Chiesa Cattolica. L’opera si apre con parole importanti, riferibili al contesto della guerra: «La crisi che imperversa sull’umanità riguarda non soltanto spazi d’impero e zone di influenza economica, ma anche istituti, dottrine, valori: tutto ciò su cui un ordine consiste o si ricompone. Le coscienze, scosse dalla violenza dei fatti, sono disposte alle revisioni più radicali e agli orientamenti più arditi. Occorre raccoglimento a che il turbine non ci rapisca a noi stessi. Questo studio è un invito al raccoglimento».

Finita la guerra, nei mesi tra maggio e luglio 1945, su intervento della commissione di epurazione universitaria, Stefanini viene inserito nell’elenco di quei docenti che «per le cariche ricoperte, la collaborazione data o per altri gravi elementi emersi», vengono sospesi dall’insegnamento. L’accusa che lo riguarda è di «attiva collaborazione col fascismo sul piano educativo».  È un provvedimento in sé molto grave, che getta una luce sinistra sulle scelte e sulle decisioni di un docente amato e stimato, come emerge dalle numerosissime testimonianze, e che colpisce in modo terribile Stefanini, cui era già stato requisito anche l’appartamento che teneva in affitto e che aveva abbandonato durante la guerra, dopo esser sfollato a causa dei bombardamenti su Padova.

È un provvedimento che impone, nei limiti dei documenti reperibili, una lettura attenta, contestualizzata e collocata all’interno di una vicenda, ovviamente più ampia, che è quella, nazionale, dell’epurazione. Studi recenti ci permettono di poter comprendere un po’ meglio i fatti, come l’approfondita ricerca di H. WOLLER, I conti con il fascismo. L’epurazione in Italia. 1943-1948, Il Mulino, Bologna 1997.

Per capire i procedimenti di epurazione avviati in singoli ambiti ed in specifici settori, è necessario tener conto che in quello, vasto e complesso, della pubblica amministrazione fu particolarmente difficile distinguere responsabilità, coinvolgimenti effettivi, colpevolezze chiare, dato l’intreccio inestricabile tra partito, strutture e funzioni amministrative. Già all’indomani della liberazione di Roma, l’Amministrazione militare alleata ed il governo Bonomi, formato dai partiti antifascisti, indicavano ragioni e motivi della dispensa dal servizio nella pubblica amministrazione. Il giudizio di merito sui singoli casi era affidato a commissioni operanti a livello provinciale, ma direttamente collegate ai competenti ministeri o amministrazioni e sotto il controllo dell’Alto commissariato per le sanzioni contro il fascismo. Si trattava di una vera e propria “Magna Charta” dell’epurazione.

L’epurazione all’interno dell’Università di Padova è stata analizzata accuratamente da M. REBERSCHAK, Epurazioni? Giustizia straordinaria, giustizia ordinaria, giustizia politica, «Venetica», I, 1998, pp. 47-68, a cui rinviamo per tutti i dettagli, con la precisazione di Reberschak che “non sono rintracciabili documenti in itinere sui lavori della commissione, che si conclusero il 14 luglio». Per quanto riguarda Stefanini il provvedimento di sospensione a suo carico viene ‘archiviato’, in considerazione della scarsa rilevanza degli addebiti, il 5 novembre dello stesso anno, su provvedimento del Ministero della Pubblica Istruzione, con il reintegro dello stipendio. Dunque il processo, che si conclude in pochi mesi, lo scagiona del tutto.

Nel successivo 1946 tutta l’inchiesta si chiude definitivamente. Il rettore Meneghetti convoca per l’ultima volta la commissione nell’aprile ‘46, prendendo atto di una situazione venutasi completamente a modificare con il nuovo anno e, soprattutto, «nell’imminenza della forzata conclusione di tutti i procedimenti epurativi, tra i quali basti ricordare per tutti l’“amnistia di pacificazione”, introdotta il 22 giugno 1946, più nota come “amnistia Togliatti”, dal nome del guardasigilli proponente».

Stefanini paga carissimo per questo processo a livello personale e familiare; la moglie muore nell’aprile ’46 ed il figlio Paolo indicherà negli avvenimenti di fine conflitto il motivo determinante e la causa di questa morte. Il processo è anche causa di quella “vulgata” che, da certa parte politica e da facile pubblicistica, vede rivolgere anche oggi accuse totalmente infondate alla memoria di Stefanini, accuse basate su di un generico sentito dire, che non tiene conto né dell’opera del filosofo, dove non sono mai presenti riferimenti a dottrine fasciste, né dell’esito di un processo che lo scagiona e lo riabilita totalmente.

Fa parte di questi studi non documentati sulla figura e l’opera del filosofo trevigiano anche il riferimento contenuto nella Storia di Treviso, a cura di E. Brunetta, Marsilio, Venezia 1993, che presenta nel vol. IV, L’età contemporanea, p. 200, allusioni del tutto gratuite e tendenziose su Stefanini.

Per altri dettagli e per tutte le informazioni bibliografiche del caso, mi permetto di rinviare al mio Luigi Stefanini. Dalle opere e dal carteggio del suo archivio, Treviso 2006, in particolare ai cap. II (pp. 85-149) e VII (pp. 417-485).

Glori Cappello

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