Educazione e arte.

I termini in cui Stefanini s’è spesso occupato di pedagogia (concorde con la posizione gentiliana sul momento pedagogico mai avulso o secondario rispetto alla riflessione filosofica in senso stretto) riproducono sostanzialmente la concezione agostiniana del ‘maestro interiore’ cui dare ascolto e del quale il maestro esterno è soltanto guida ‘socratica’. Pur nel contesto di un sostanziale accordo con l’idealismo, riscontrabile soprattutto negli scritti giovanili, la posizione di Stefanini si differenzia e si precisa nel momento in cui dà forma compiuta al personalismo. Nella scuola del dialogo, ampiamente esposta nei suoi scritti, in parte raccolti verso la fine della vita in Personalismo educativo, ritroviamo tutta la sua filosofia. Riaffiora anche su questo versante la paideia platonica nella tradizionale saldatura in unità di verum, bonum et pulchrum (verità, bontà e bellezza). E sull’educazione estetica Stefanini è sovente intervenuto.

Nell’ambito dell’estetica Croce e Gentile trovano in Stefanini più che l’oppositore prevenuto, l’interlocutore più vicino. Il confronto serrato si verifica con le tematiche crociane, ma, anche in questo caso, le differenze sono evidenti. Attraverso il tema dell’arte si ripropone in Stefanini l’unicità e l’assolutezza della realtà della persona come unità di ‘stile’:

 

L’arte, oltre a creare l’unità della forma, ne crea l’unicità: crea cioè quell’unità che non si ripete, e non si aggiunge alle altre unità formando con esse una molteplicità numerica, ma resta incomparabile, col tono singolarissimo che contraddistingue le fatture dello spirito e dicesi stile.

 

Essa diviene parola assoluta, e tuttavia finita, e non parola ultima della verità. Quanto all’impostazione idealistica, confrontata e differenziata con il pensiero giobertiano, Stefanini nota:

 

Bisogna intendere fino in fondo l’alta sentenza del Gioberti che l’idealismo hegeliano è l’arte come metafisica: un’imagine poetica del mondo divenuta l’ultima parola della verità. […] Poi il circolo hegeliano è stato spezzato, ma è rimasta la presunzione dell’arte di porsi come ultima parola della verità. […] Questa presunzione è l’estetismo: non più un estetismo piramidale che tutto l’essere avvolge in una calda sintesi di emotività rivelatrice, ma un estetismo frammentario che accetta dell’arte guizzi istantanei i quali illuminano momenti isolati dell’essere, ciascuno colto nel baleno d’una fatua assolutezza. L’arte è bensì, essa stessa, una sostanza temporale e spaziale […]. Ma in nessun caso si tratta di un abbandono dell’arte all’estensione e alla successione, quanto del dominio che essa esercita su entrambe, ritraendole nella puntualità dell’istante e nell’istantaneità della visione organica e unitaria. [Invece] Heidegger, dopo di aver perduto il senso della esistenza in Sein und Zeit, fu sulla via di ritrovarlo quando in ‘Hölderlin und das Wesen der Dichtung’ s’incontrò con l’arte e ne apprese la capacità di fermare ciò che scorre e di ‘fondare ciò che resta (Metafisica dell’arte, p. 16).

 

Ciò si connette al concetto di creazione nell’artista che può essere, per Stefanini, sempre e soltanto ‘concreazione’ mimetico-metessica, imago della creazione divina di tempo e spazio. Così «l’arte, appunto, ci porge la più valida approssimazione analogica al mistero» (Metafisica dell’arte, p. 13).

Se Dio crea gli esseri, l’uomo ne ri-crea le imagini: il mondo della conoscenza e delle sue infinite possibilità è veramente regnum hominis. La dialettica dell’imagine, che non rinvia ad altro da sé se non per l’infinita potenza creatrice divina nell’ambito ontologico, non è metafora: il mondo vero non rischia di diventare una favola, secondo affermazioni famose, solo perché l’uomo padroneggia compiutamente il suo mondo di idee, pensieri, interpretazioni, azioni e non il mondo dell’essere che per Stefanini è comunque e solo dipendente dall’azione creatrice di Dio.

La possibilità di pensare, di dire, di interpretare il mondo non in modo speculare, né secondo linee fenomenologiche che non lo convincono appieno, è proprio nell’esperienza che l’uomo fa di se stesso, del suo essere artista, plastes et victor, copula mundi, vinculum omnis creaturae, in una rivisitazione dell’umanesimo, che egli riproporrà anche alla Sorbona, come fonte di senso filosofico e speculativo ben più che come categoria storiografica. Anche lo studio dell’esistenzialismo e il suo confrontarsi serrato e intimamente partecipe con la riscoperta del valore dell’esistenza in anni in cui trionfava l’idealismo, lo entusiasma per l’accento posto sull’uomo, ma lo delude nel suo chiudere l’orizzonte esistenziale alla pura temporalità e finitudine, che non tiene conto dell’ulterorità divina, di quell’infinitamente altro che è la dimensione del divino stesso.

Su questo travaglio speculativo campeggiano gli interessi pedagogici e quelli per l’estetica in una unità organica e coesa delle tematiche, pur nella specificità degli ambiti, che consentono di valutare la produzione di Stefanini come un impegno totale. Se ciascuna sua opera può, e deve, essere vista in dettaglio, non si può contemporaneamente trascurare il posto e il significato di ogni suo intervento all’interno di una produzione che va considerata in una visione complessiva. Ogni suo scritto, dai più corposi ed importanti ai saggi più brevi, offre una prospettiva globale e coerente del pensatore, ma richiede contemporaneamente un confronto con la restante produzione. Non fanno eccezione, anzi costituiscono conferma, gli interessi per l’estetica, che, considerati nella loro ricca articolazione, offrono un quadro davvero intenso: nell’arte e nelle considerazioni sull’arte si realizza probabilmente la sensibilità più vera dell’uomo e del filosofo.