Persona e razionalità.

Nella ragione, scrutatrice e in ascolto di tutto, senza preclusioni precostituite, con l’unica legge della fedeltà a se stessa, guidata dal senso dell’unità in cui sia rispettata la struttura unitaria dell’io, ciascuno di noi è giudice ultimo. Nessuna autorità esterna, nemmeno in nome della religione, può sostituirsi alla ragione.

Se della persona si può parlare in molti modi (come ragione, parola, libertà), in Stefanini il tema della persona prende consistenza nel clima dell’esistenzialismo: al XIII Congresso nazionale di Filosofia a Bologna, nel 1938, «con lo Stefanini vi s’affacciò l’esistenzialismo» (E. Garin, Cronache di filosofia italiana, Laterza, Roma-Bari 1997, p. 454). Lo approfondirà con il lavoro del 1944 su Heidegger e in vari saggi del 1949 in «Giornale di Metafisica», raccolti poi in monografia. In quella corrente filosofica egli vede esaltata la dimensione dell’individualità e della soggettività, alle prese con la concretezza della vita, ma anche un’inammissibile perdita di rigore razionale.

Ogni conoscenza, ogni valore morale, ogni rapporto sociale, ogni atteggiamento religioso devono trovare la loro origine e giustificazione nell’esperienza psicologica e nell’‘esercizio pieno della ragione’. Un enunciato di sapore esistenzialistico rivela l’impianto metafisico stefaniniano: «Nessuna metafisica si costruisce se il suo primo capitolo non è psicologico»; ribadendo così che «punto di partenza di ogni dimostrazione è l’esperienza che io ho di me stesso. L’io è il fatto primordiale e centrale dell’esperienza»; «tutte le relazioni che io posso stabilire con la realtà circostante o sovrastante debbono passare attraverso questo punto di passaggio obbligato». Pertanto la persona «non può trarre alla luce se stessa senza coinvolgere nell’atto proprio tutte le condizioni fisiche, sociali, storiche, metafisiche a cui è vincolata» (La mia prospettiva filosofica, Liviana, Padova, 1950, Canova, Treviso 19963, p. 14).

 

L’individualità personale […] è il nucleo dal quale si dispiega quel processo di pensiero che è la razionalità […]. L’intelligibile ha la persona alla base e al vertice, nel soggetto e nell’oggetto (Il problema della filosofia oggi, in Personalismo filosofico, p. 15).

 

Al contrario di quanto sosteneva lo Hegel – ‘la razionalità è la strada maestra dove ciascuno cammina e nessuno emerge’ -, si deve dire che la razionalità è il momento più alto dell’individualità. Per quanto la logica possa compiacersi di trasformare il concreto in astratto, l’unico principio primo, l’unica categoria, l’unica verità assiomatica che è preposta all’ordine della razionalità è l’io: […] incontraddittorio, almeno se vuol realizzare la sua natura profonda (La mia prospettiva, p. 17).

 

[Pertanto la] filosofia, quale esercizio pieno della ragione, è impegno totale verso l’essere, e la sua formula è quella che indica ad un tempo una responsabilità morale ed un ideale di libertà: essere se stessi ed esserlo pienamente (Personalismo educativo, p. 118)

 

Cercare la libertà nella ragione […] è incontrare la nostra natura profonda, identificarsi con noi stessi; questo risultato è il frutto di una scelta sanguinosa, che s’impone e si rinnova di momento in momento nella lotta liberatrice dell’uomo contro le forze dispersive dell’indolenza, del vizio, in una parola, dell’irrazionalità (Irrazionalismo e persona, in Personalismo filosofico, pp. 141-142).

 

La relazione del 1949, La mia prospettiva filosofica, insieme con la monografia Metafisica della persona (1950), segnano la formulazione più efficace della filosofia della persona e stabiliscono l’equivalenza di persona e ragione. «L’essere è personale in quanto razionale ed è razionale in quanto personale». Solo così acquistano senso ‘esistenziale’ anche i primi principi: «i principii primi della ragione sono quelli di identità e di non contraddizione: purché s’intendano non nella loro espressione algebrica: A é A, A non é non A, ma nella loro espressione esistenziale: Io sono io, Io non sono non io».

Dichiarare insufficiente un procedimento meramente ontologico – che non si riferisca, cioè, all’ontologia vivente e attuale nell’intima esperienza dell’esistente – è mantener fede al punto di partenza, al quale si attengono per lo più gli ontologi: punto di partenza che dicesi comunemente molteplice e che io preferirei dire integrale, affinché gli elementi che esso comprende non possano apparire giustapposti ed estrinseci l’uno all’altro, ma fusi in un organismo dialettico, ricco di distinzioni le quali non debbono mai perdere il contatto con la matrice che le vivifica. Gli elementi considerati sono, di solito, i seguenti: l’esperienza, il principio di contraddizione, l’ulteriorità dell’esperienza e l’idea dell’essere.

Ora si osserva che l’esperienza non sviluppa il suo significato se non è intesa come l’esperienza che l’io ha di sé e, in sé, dei suoi contenuti.

Il principio di contraddizione non si giustifica se non come la resistenza che l’io oppone, nella sua unità e identità, alle forze che vorrebbero dividerlo da se stesso e scomporlo in una rapsodia caotica e convulsa.

L’ulteriorità dell’esperienza non si annuncia finché a confronto con le cose non sia posto l’io, coi suoi poteri spirituali d’interpretazione, di sintesi, di produzione; e finché l’io, abbattendosi ai limiti del suo potere nel suo lavoro d’interpretazione, di sintesi, di produzione, non riconosca l’ulteriorità d’un principio spirituale assoluto, nella cui produttività egli stesso si sente contenuto, recandone in sé l’orma e il sembiante.

Il concetto dell’essere, infine, non sarebbe che un sottoprodotto depotenziato dell’esperienza integrale, se lo si scindesse da quel concreto della persona umana, dove si sperimenta l’essere d’un pensante, cioè, non l’essere nella sua squallida indeterminazione, ma l’essere nell’inscindibile presenza dell’atto che lo determina; non l’essere cieco, fuori di un pensiero vuoto, che cerchi di riempirsene, ma l’essere soggetto e oggetto a se stesso nella consustanziale attuosità del pensiero, con cui l’essere si manifesta e si possiede. Ontologia, gnoseologia, logica – membra inanimate nella loro pretesa indipendenza e sufficienza o nella precedenza esclusiva attribuita ad una di esse sulle altre – riacquistano vitalità e vigore nel connettivo dell’esperienza cosciente (Metafisica della persona, Liviana, Padova 1950, pp. 4- 5).

 

Con tale saldatura di persona e ragione Stefanini compie un’operazione nuova nel panorama filosofico, non solo sui versanti esistenzialistico e idealistico, ma anche su quello propriamente logico e matematico. La novità sta nell’aver dato alla persona, fagocitata nell’idealismo dalla ragione assoluta, uno spessore di primo piano e alla ragione una contiguità con l’essere della persona che l’esistenzialismo ignorava; sul versante della logica formale, che si serve di strumenti analitici di tipo matematico, egli ne avvertiva l’astrattezza, estranea alla vita della persona.

Con la filosofia della persona anche il concetto di universale viene reinterpretato da Stefanini: vero universale è l’‘interpersonale’, in cui le diversità di ciascuno possono dialogare, confrontarsi criticamente, allo scopo di perfezionare la personale realizzazione della piena razionalità, cioè intelligenza, sentimento e volontà. Dall’universale di tipo esistenziale, concreto e non astratto, prende le mosse ogni discorso di carattere sociale e sui valori in genere.

La persona vive, pertanto, un dilemma nell’intimo del suo essere. Più che altrove, in essa si configura una dialettica tra poli, ora contrapposti ora convergenti. Sorge così il problema del numero, ossia della misura per decidere sulla bontà, secondo eccesso o difetto di mimesi o di metessi, nelle diverse situazioni della realtà vissuta. Tra imitazione e partecipazione ne va della realizzazione della propria identità, ora minacciata ora implicata, nel rapporto mimetico/metessico. La dialettica è tra separazione, quale si ha nell’immagine che si stacca dall’originale, e tensione partecipativa per ripristinare l’unità perduta. È il classico problema platonico della molteplicità e dell’unità che Stefanini mai perde di vista.

Quanto alla persona essa non è mai un numero, ma sempre una qualità: è specie a sé, seppur indefinibile come essenza. La propria individualità, anche se condivisa con molti, come natura umana, non è soggetta ai parametri della quantità bensì a quelli della qualità. L’essere personale, qualitativamente unico, tuttavia è comunicabile; nella comunicazione mette in comune con altri la propria identità: libertà di esprimersi, di dirsi agli altri. Ciò avviene in misura maggiore e in proporzione alla sua capacità di dirsi a se stessa. Conoscendosi e, riconoscendosi come dono ricevuto, entra in relazione con il Donatore assoluto. La filosofia della persona implica, quindi, una filosofia della trascendenza che comporta non l’esistenza di un quid assoluto, anonimo ‘motore immobile’, bensì un Chi persona, analogo alla persona particolare e concreta, dal quale, secondo ragione, la persona sa di essere causata nel suo essere e del quale, secondo fede, sa di essere immagine.

Sarebbe comunque riduttivo classificare Stefanini come personalista spiritualista: a tal proposito sono significativi i suoi interventi chiarificatori al fine di non essere confuso con certo esigenzialismo emotivo, che dà adito alla svalutazione della razionalità. L’esigenzialismo emotivo svaluta la razionalità perché non produce argomentazioni di tipo logico-dimostrativo, così come un certo metafisicismo neotomista che riprende il concetto di ragione come ancilla fidei. Stefanini, invece, intende la razionalità in senso pieno, non riducibile a mero formalismo logico, ma capace di valutare come esigenza intrinseca della ragione, e non del solo sentimento emotivo, l’assunzione della propria limitatezza come necessaria ammissione di dipendenza ontologica da un Essere infinito. Questo ‘fondamento ontologico’, che si ispira all’agostinismo di Bonaventura piuttosto che al tomismo ‘ufficiale’, è originariamente un principio personalizzato, esperito nell’‘io sono’.

Il personalismo di Stefanini, con le conseguenze ontologiche cui abbiamo accennato, nasce dalla intensa frequentazione e dal dialogo serrato con i testi degli esistenzialisti. Il giudizio sull’esistenzialismo e il chiarimento dei suoi rapporti con l’idealismo gli offrono i criteri per una sintesi storiografico-speculativa che, per l’immatura scomparsa, è stata solo in parte delineata. L’immanentismo idealistico non è riuscito ad esaurire in sé la realtà e quindi a rendere conto della complessità dell’esperienza. Ne discende l’evasione estetistica, ossia un concepire la vita in una dimensione estetitica, non estetica si badi, eludendo, nella compiutezza e gratuità dell’immagine, le difficoltà dell’impatto con il concreto e limitando al puro momento del godimento e della fruizione la complessità di una dimensione metafisica della persona. La posizione immanentistica, allorché l’ottimismo idealistico si capovolge di fronte alle istanze non superabili dell’esistenza, si presenta come orizzonte intrascendibile della dissociazione e dello scacco, esito conclusivo di un processo che ha assolutizzato l’unilateralità.

Di fronte a questa situazione, Stefanini formula la proposta secondo cui la realtà personale, posta al centro della considerazione metafisica ed etica, si presenta capace di recuperare il senso dell’esistenza ed insieme si pone come luogo dell’universalità del valore. La proposizione fondamentale di tale personalismo è riassunta nell’enunciato: «L’essere è personale e tutto ciò che non è personale nell’essere rientra nella produttività della persona, come mezzo di manifestazione e di comunicazione». Stefanini giunge a questa formulazione attraverso un esame critico compiuto sull’esperienza, compresa l’esperienza interiore e l’esperienza logica. L’esame critico non è, per lui, uso aprioristico della ragione concepita come Assoluto, ma rigoroso esercizio di chiarimento di contesti già dati e loro compiuta delucidazione. Applicando questo metodo, Stefanini passa dalla «mediazione psicologica» alla «partecipazione metafisica». I risultati dell’indagine possono riassumersi nel riconoscimento della «primalità dello spirituale sull’empirico»; nella «razionalità quale processo coesivo della persona con se stessa»; nell’«unicità quale determinazione prima dell’essere personale»; nell’ «apertura cosmica, sociale, e storica della persona finita»; nella sua «apertura metafisica». L’ontologia personalistica è di ordine assiologico, poiché rifiuta di assumere la contraddizione come costitutiva; fare ciò comporterebbe l’accennata «sconnessione» e il volto personale della realtà risulterebbe «obliterato».

Il limite non è nell’Assoluto, ma costituisce una insuperabile esperienza della persona umana. Il trascendimento di questo limite determina l’abbandono del piano dell’immanenza e il riconoscimento della trascendenza di Dio. È questo il momento in cui la persona si riconosce come finita, ma allo stesso tempo si radica nell’infinito. Il reperimento del limite apre inoltre la persona alla comunione con le altre persone e dà luogo a una visione personalistica della società, un personalismo sociale appunto. Dio e uomo sono persone, ma pure la realtà cosmica, frutto della produttività personale di Dio e dell’intervento dell’uomo, ne ripete i ritmi e ne sviluppa le possibilità. Tutto l’essere riceve unità ed armonia dall’intenzionalità della persona che lo illumina con i caratteri della sua dinamica spirituale.

 

Il termine personalismo, con cui si indica la più matura prospettiva filosofica di Luigi Stefanini, richiede una precisazione dato che il concetto di personalismo si è andato configurando, nei decenni centrali del Novecento, in vari modi. I rapporti di Stefanini con la cultura francese, ed in particolare con la filosofia di Lavelle e Le Senne, inducono a confrontare il personalismo stefaniniano con quello di Emmanuel Mounier e del movimento sorto attorno alla rivista Esprit. L’affinità dell’approccio esistenziale ai tempi della persona, l’attenzione rivolta alle dinamiche dell’interiorità piuttosto che alle definizioni formali, cui si può aggiungere la particolare sensibilità verso un’esigenza di impegno, stimolano un confronto che sorge spontaneamente. Va tuttavia osservato che il personalismo di Stefanini nasce all’interno di una linea speculativa che da Platone arriva ad Agostino, giunge al Gioberti, si confronta con l’idealismo (più particolarmente col neo-idealismo italiano) e si inserisce nelle possibilità offerte dalla crisi stessa dell’attualismo di Giovanni Gentile. Il personalismo di Mounier ha invece una genesi etico-politica e si articola sul prevalente terreno delle dinamiche socio-psicologiche. Il dibattito con l’idealismo, dottrina di rilievo secondario nel contesto speculativo francese, in Mounier è molto minore mentre è più accentuato quello col marxismo. Il personalismo di Stefanini nasce all’interno di una tradizione accademica per quanto ravvivata da un preciso impegno etico-religioso e socio-politico, mentre il personalismo di Mounier e del movimento spiritualista, che nella rivista omonima trova il suo centro di aggregazione, è più decisamente espressione di un impegno che ha nella pubblicistica il suo luogo di dibattito. Le differenze tra i due personalismi sono quindi di natura teoretica e discendono da due diverse tradizioni speculative, pur nella comune ispirazione di fondo.

Significativi punti di contatto si possono riscontrare con Edith Stein, al cui pensiero, che ugualmente pone al centro delle riflessioni la persona, il personalismo stefaniniano è stato accostato.