Luigi Stefanini

Note Biografiche

La vita di Stefanini appare abbastanza tranquilla: è il cursum studiorum che caratterizza quasi tutti i docenti universitari. Nasce a Treviso il 3 novembre 1891, frequenta la scuola, sino a conseguire la maturità classica al Liceo “A. Canova” (1910) e, contemporaneamente, opera con assiduità e passione nelle associazioni del laicato cattolico, costituitesi in città in epoca giolittiana. Suoi riferimenti base sono: fede e ragione. Appena sedicenne così si esprime: «so che nell’animo mio c’è tutto quello che abbisogna all’uomo […] per liberarmi dall’ambiente, dalle circostanze esterne, da tutta quella artefazione di cui la scuola e l’educazione e la società in cui viviamo ci opprimono, e per attingere solo dalla mia ragione e dal mio sentimento, tali quali me li ha dati la natura».

Negli anni giovanili è protagonista dinamico sul piano religioso e politico-sociale. Tra organizzazioni di conferenze e partecipazioni a convegni, accumula un’esperienza intensa. Promuove e dirige il mensile «Il Foglio dei giovani», con articoli distinguibili per l’apologetica misurata e franca; per dissensi, pur garbati, con la gerarchia ecclesiastica, che l’ammonisce circa il pericolo delle «seduzioni della ragione autonoma», il periodico chiude. È uno dei motivi che lo convincono a fare dello studio il suo obiettivo primario, cui dedicare tutte le energie.

Dopo il Liceo si trasferisce a Padova per conseguire la laurea in Filosofia. La tesi riguarda il pensiero di Maurice Blondel; il relatore è Antonio Aliotta (1914). Il lavoro, subito pubblicato, rivela già la duplice impronta dei suoi interessi speculativi: l’esperienza personale su cui fondare ogni conoscenza e la razionalità pienamente dispiegata, sì da misurarsi con la fede, tanto da consentire alla ragione che, «penetrando nel cuore dei sistemi della filosofia moderna, vi scopra il fermento di verità che ha lievitato la massa dell’errore». La tesi di laurea riguarda un autore che, pur sospettato di modernismo, trova in Stefanini dapprima un giudizio critico sul dualismo tra azione e pensiero, ma poi sempre più una sincera stima e adesione allo spirito del ‘blondelismo’.

Nella dura quadriennale parentesi della guerra mondiale, è attivo al fronte da convinto patriota; ferito nella zona del Col di Lana, si merita la croce al merito, anche se continua il suo interesse per lo studio nelle more dei combattimenti, come attestano i giudizi dei suoi superiori e come rivela una foto che lo ritrae con gavetta e libri sotto la tenda. Alla fine del conflitto consegue un seconda laurea in Lettere (tesi sul pensiero estetico di Gian Vincenzo Gravina, 1919).

I primi anni del dopoguerra lo vedono impegnato sul fronte della politica attiva: è presidente regionale per l’azione cattolica giovanile e consigliere provinciale e comunale nelle file del PPI (elezioni del novembre 1920). Si cimenta con le avvisaglie delle violenze squadriste e del massimalismo socialista, pronunciandosi apertamente in difesa delle libertà democratiche e del sentimento di patria, come risulta dai verbali dei consigli comunali trevigiani.

Sostiene con successo i concorsi per l’insegnamento liceale, con sedi provvisorie a Treviso, Verona, Mantova, Taranto (per pochi mesi) e infine Padova al Liceo “Tito Livio” nel 1924, dove rimarrà sino al 1936, anno in cui ottiene la cattedra universitaria per Filosofia teoretica all’Università di Messina. Negli anni dell’insegnamento patavino, dedicati con grande passione sia al rapporto con gli studenti sia ad un intensissimo lavoro di ricerca che gli consente di ideare e realizzare molte delle sue opere più importanti, esercita anche “corsi pareggiati” come libero docente per Pedagogia (dal 1925 al 1936). Ha modo di approfondire quelle conoscenze del mondo accademico che già in parte gli erano note dai tempi della laurea.

Condirettore della rivista «Convivium» (SEI di Torino), legata all’ambiente dell’Università Cattolica e all’opera del padre Agostino Gemelli, che egli conosce sin dal primo dopoguerra, viene coinvolto, per il suo modo libero e schietto di affrontare i problemi, in una polemica sul concetto di “filosofia cristiana” e sulle tematiche dell’idealismo. La vivace disputa si conclude con il suo allontanamento dalla condirezione della rivista e, addirittura, con una censura da parte dell’autorità ecclesiastica. I provvedimenti censori non hanno seguito: Stefanini si era difeso dimostrando di non essere in contrasto con la dottrina della Chiesa. Effettivamente non se ne era mai allontanato, ma il suo modo di intendere l’idealismo ed il rapporto fede-ragione, sulla scorta di un blondelismo di fondo che mai lo abbandona, non verranno ripresi fino agli anni Cinquanta, quando il clima è profondamente mutato.

L’approdo alla cattedra universitaria è il risultato, mai scontato ed agevole, di una lunga ricerca che lo porta ad elaborare una fortunata serie di manuali per la scuola superiore, interventi su riviste specializzate, monografie pedagogiche, sino all’opera che lo consegna al numero eletto degli specialisti del pensiero platonico: due volumi (1932-35) per quasi mille pagine dedicate all’analisi di tutti i dialoghi e delle relativa letteratura critica. Un lavoro imponente.

La permanenza a Messina dura un solo anno; dal successivo 1937 ritorna a Padova, chiamato a ricoprire la cattedra di Pedagogia. Nel 1940 ottiene la cattedra di Storia della Filosofia, già di Emilio Bodrero, trasferitosi a Roma per importanti impegni politici. Dal 1940 al settembre 1943 è Preside della Facoltà di Lettere: è il successo accademico e personale. Aperto al dialogo con tutte le componenti della cultura italiana ed europea, laica e cattolica, nelle curvature dell’esistenzialismo ma anche della fenomenologia e delle discussioni sul ruolo del linguaggio, dell’arte, del simbolo, si trova ad essere quasi unico pensatore cattolico in cattedra universitaria, come ricorda A. Rigobello, uno dei suoi più fedeli interpreti.

Il secondo conflitto mondiale, nei drammatici avvenimenti che caratterizzano l’Italia settentrionale, e l’Università di Padova in particolare, dopo l’8 settembre lo vede spettatore più che attore: non aderisce alla Repubblica di Salò, ma non partecipa alla resistenza. Sfollato da Padova dopo i pesanti bombardamenti, viene coinvolto, dal maggio al settembre 1945, in un processo di epurazione per sospetta collaborazione con il regime. Subito scagionato, reintegrato nella cattedra e nell’insegnamento, inizia una febbrile attività di studio, di ricerca, di impegno nella vita accademica, quasi presago che la vita non gli riserverà ancora molti anni. Collabora sin dalla sua fondazione, nell’autunno 1945, al movimento di Gallarate e alla realizzazione dell’Enciclopedia Filosofica.

Negli anni tra il 1948 ed il 1951 è in lizza, come cattolico, per una cattedra dell’università di Roma di Filosofia e di Storia della Filosofia in competizione con Ugo Spirito e Guido Calogero. Rimarrà a Padova, protagonista di numerose iniziative che attengono l’ambito della filosofia teoretica, della storia della filosofia, dell’estetica e della pedagogia sino alla fine della sua breve, ma intensissima esistenza, dedicata interamente allo studio, all’insegnamento, alla famiglia cui sarà sempre legatissimo. Muore il 16 gennaio 1956.