G. Cappello Il problema della storia e della storiografia in L. Stefanini

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G. Cappello Il problema della storia e della storiografia

da Luigi Stefanini. Dalle opere e dal carteggio del suo Archivio, Europrint, Treviso, 2006, pp.753-757

 

Il tema della metafisica nelle sue tre dimensioni – arte, forma e persona – ha sempre compreso, come momento teoretico ineliminabile, il problema della storia che Stefanini, però, affronta in modo specifico solo in due saggi: Storia, storicità, storicismo, storiografia e persona ([1]) e La storia è parola dell’uomo ([2]). Nel primo saggio intende chiarire il significato della forma della storicità e della storiografia, collegando il senso della storia al problema fondamentale dell’irrazionale presente nel corso degli avvenimenti al tema della persona, fondatrice di senso e di valori, e dunque al personalismo filosofico ([3]). Dopo una breve analisi dei vari tipi di storia e di storicismo con i classici riferimenti da Dilthey a Heidegger, ai grandi del pensiero antico e moderno, Stefanini precisa le sue considerazioni sulle «dimensioni della storia»: esse sono «le dimensioni della persona, una dimensione orizzontale ed una verticale. Poiché l’atto non consegue l’attualità pura, l’attimo è sempre presente, mai come attimo risolutivo, sempre come attimo che concresce su se medesimo, richiamando su di sé il passato e proiettandosi nel futuro. L’attimo è sempre in sé e fuori di sé. È fuori di sé in quanto non si basta (è ex-statico: cfr. le estasi della temporalità di Heidegger); ed è in sé perché in ciascuna pulsazione della esistenza cosciente cala tutta la persona con la sua unità, identità, spiritualità, con ciò che in essa è trasmediato, transrelato, transdialettico, insomma con ciò che la costituisce quale principio categorizzante. In quanto l’attimo è fuori di sé ha origine la dimensione orizzontale della persona e della storia, ciò per cui il poi succede al prima e gli eventi si distendono nella sequela temporale. In quanto l’attimo è in sé, ha origine la dimensione verticale della persona e della storia e i fatti che si succedono diventano significanti rispetto al principio che li instaura» ([4]).

 

Utilizzando le categorie interpretative di questa doppia dimensione – orizzontale e verticale – della storia si può capire l’irrazionale: esso è l’abbandono della «verticale». «L’irrazionale non è (non ha realtà ontologica), non deve essere (non ha valore morale), ma può essere (ha realtà storica). L’irrazionale è legato alla storia, perché la storia è legata alla libertà. La libertà dell’uomo non è un dato, perché è data per essere esercitata e conquistata. […] La verticale umana non si regge se l’identità personale, che dura nella vicenda temporale, non si sostiene ad un’assoluta presenzialità, che sta sulla vicenda, impegnata in essa, non per necessità fisica o logica, ma per un atto di generosa dedizione e di amore. Il trasmediato, il transrelato, il transtorico della persona umana non è l’eterno: ne è partecipazione e manifestazione. Bisogna che l’eterno scenda nel tempo, affinché chi è immerso nel tempo possa trovare la radice del principio categorizzante che trasforma il tempo in istoria» ([5]).

Il vero senso della storia, fondata sulla doppia dimensione della persona, è comunque l’avvento del Cristo,come consumazione del tempo ed inizio della redenzione. Alla base delle considerazioni, superiore allo stesso confronto con le Grundformen dello storicismo contemporaneo, c’è la presenza del pensiero di Agostino, esplicitamente citato più volte. La monografia su La Chiesa Cattolica sembra la realizzazione, la messa in pratica, di questi criteri storiografici, essenzialmente presenti nel modo di procedere di Stefanini ancor prima di venire esplicitamente formulati.

   La storia è parola dell’uomo, relazione ‘gemella’ di Arte e linguaggio ([6]), entrambe presentate in occasione del medesimo Convegno, collega la storia all’estetica, parendo a Stefanini che proprio l’arte sia in grado di avanzare una soluzione a riguardo del rapporto tra l’essere nella sua dimensione metafisica e il tempo, quale orizzonte in cui è calata la realizzazione dell’opera d’arte ([7]). Già Croce aveva ricondotto la storia, e la filosofia, al concetto generale dell’arte ([8]), ma è necessario evitare l’esito estetistico della filosofia crociana che non fornisce sufficienti garanzie di giudizio, di normatività, pur intrinseca, che permanga anche nel quadro di uno storicismo idealistico e romantico. Se la storia è arte, l’arte si dissolve totalmente nella «macina della storia»?

La risposta è formulata con chiarezza: «non si afferma la natura storica della linguistica senza affermare la natura linguistica della storia» ([9]). La storia dell’uomo è la sua capacità di dirsi nel momento in cui agisce: non esistono res gestae senza historia rerum gestarum. «La parola (o la storia) è forma propria della causalità spirituale, da non confondersi con la forma propria della causalità fisica» ([10]).

«Il problema della conoscenza storica, quando la storia sia vista come parola dell’uomo, è risolta anzitutto nel senso che la storia è la parola con cui l’uomo si conosce e si fa conoscere» ([11]); questa conoscenza, naturalmente, non si verifica nella condizione della solitudine e dell’isolamento: «se la società è il colloquio umano, la storia, che è la società proiettata nel tempo, è colloquio con gli uomini del passato. Il circolo della comprensione storica si svolge secondo le stesse leggi, sia che si tratti del colloquio con gli uomini viventi nell’attualità, sia con gli uomini remoti nella lontananza dei tempi» ([12]).

Si tratta di osservazioni significative, anticipatrici con ampio margine di tempo, delle teorie gadameriane del circolo ermeneutico. Stefanini fa seguire anche osservazioni metodologiche: se «la lettura del documento è la prima condizione della comprensione storica, […] l’interpretazione è l’esatta prospettazione della parola nel suo momento storico, con l’approfondita conoscenza delle condizioni e delle intenzioni che valgono a definirne il significato. La interpretazione significa l’atto storico in , mentre la valutazione lo significa in noi, mettendolo in confronto con i nostri interessi e i nostri problemi e qualificandolo, rispetto a questi, positivamente o negativamente. […] Tanta è l’affinità tra la parola della lingua e la parola della storia, che dallo studio della prima e delle sue leggi è facilitato il compito della comprensione dell’altra» ([13]).

Storia e storiografia si intendono come «colloquio» secondo le parole stesse di Stefanini: colloquio come modo di porsi di fronte al passato che esprime l’essenza stessa della persona. Se l’atto essenziale della persona consiste nella consapevolezza inverata dall’espressione, delicata e ferma ad un tempo, del conoscere, volere e amare, «il personalismo si atteggia in un espressivismo colloquiale, in una dottrina del valore formale d’un atto di reciprocità. […] Se la persona è parola, è anche duplicità necessaria, il bisogno di parlare per essere ascoltati identificandosi, nel suo momento ineunte, col bisogno d’ascoltare la parola a noi rivolta. Abbiamo bisogno di essere ascoltati come abbiamo bisogno che qualcuno ci parli» ([14]).

A fronte di queste considerazioni speculative, poche ma essenziali sono le considerazioni di metodo storiografico, messe in opera più che formulate in astratto, soprattutto se pensiamo che Stefanini, pur non aderendo alla mentalità storicistica, dedicò gran parte delle sue ricerche proprio a tematiche di storia della filosofia.

[1] Storia, storicità, storicismo, storiografia e persona, in Il problema della storia. Atti dell’VIII Convegno di studi filosofici cristiani tra professori universitari. Gallarate 1952, Morcelliana, Brescia 1953, pp. 44-59, da cui citiamo; saggio pubblicato anche in «Giornale di Metafisica», VIII, 1953, 1, pp. 141-159 e ripubblicato in Personalismo filosofico, pp. 47-77.

[2] La storia come parola dell’uomo, «Humanitas», X, 1955, 4, pp. 437-442.

[3] Per l’analisi del modo di fare storia della filosofia in Stefanini cfr. G. DOTTO, L’attività storiografica come colloquio in Luigi Stefanini, in Il pensiero cristiano nella filosofia italiana del Novecento. Atti del Convegno SFI del sett. 1979 a Perugia, a cura di E. AGAZZI, Milella, Lecce, pp. 209-215 e L. ALICI, Ragione e storia in L. Stefanini, Ivi, pp. 199-208. Della stessa interessante miscellanea cfr. anche il contributo di A. RIGOBELLO, Il problema della persona, pp. 81-102. Per una panoramica allargata del rapporto personalismo-storiografia cfr. L. MALUSA, L’apporto della visione personalistica e delle correnti personalistiche nella storiografia italiana, in Itinerari e prospettive del personalismo. Scritti in onore di Giovanni Giulietti, Istituto di propaganda Librario, Milano 1986, pp. 83-127 (pp. 105-120 per Stefanini).

[4] Storia, storicità, p. 54.

[5] Ivi, p. 55.

[6] Per l’analisi del saggio cfr. cap. VI.

[7] Il problema del rapporto tra dimensione della storicità e natura dell’estetica era già stato affrontato, sia nel Platone, sia, esplicitamente, nel saggio Storicismo ed estetismo del 1937, analizzato nel. cap. V.

[8] B. CROCE, Storia ridotta al concetto generale dell’arte, Laterza, Bari 1893. Stefanini si rifà spesso a quest’opera: «La neutralità del giudizio storico crociano che tutto “giustifica”, senza far giustizia di ciò che nella storia è moralmente negativo rispetto ad un giudizio di valore, ci riporta infatti ad un fondamentale atteggiamento estetistico della storiografia di Croce, che è quanto dire ci riporta ad un fondamentale atteggiamento estetistico della sua filosofia. La hegeliana identità di reale e di ideale, trasferitasi nel concetto concreto di Croce, ci dà ragione della “cosmicità” dell’intuizione lirica, sintesi di sensibilità e di universalità, non ci dà ragione dell’idea con cui la ragione interpreta, valuta, giudica il concreto divenire della storia e del cosmo. Il lascito dell’idealismo romantico resta anche nel Croce un problema insoluto» (Estetica, p. 37; per l’analisi dell’Estetica stefaniniana cfr. cap. VI).

[9] La storia come parola dell’uomo, p. 437.

[10] Ivi, p. 438.

[11] Ivi, p. 439.

[12] Ibidem.

[13] Ibidem. Anche il brevissimo saggio L’itinerario della ragione e le ragioni dell’itinerario, «Humanitas», VI, 1951, 5, pp. 468-471 (comunicazione fatta al III Congresso Tomistico Internazionale di Roma, 11-17 settembre 1950) pur trattando del rapporto fede-ragione è tutto improntato all’idea cristiana e agostiniana della ragione come «percorso», «itinerarium» che si snoda nel tempo, mantenendo l’intrinseca identità con se stessa attraverso il riconoscimento dell’altro, l’apertura all’ascolto, il legame con il Principio.

[14] F. BONGIOANNI, Parola e risposta nel pensiero di L. Stefanini, «Estetica», I, 1956, 2, pp. 75-80. Il saggio si riferisce al pensiero estetico di Stefanini, ma si può ben attribuire anche al suo modo di intendere la storiografia.

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