G. Piaia, recensione a G. Cappello

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TRA MILITANZA CATTOLICA, RICERCA FILOSOFICA E POLITICA ACCADEMICA.UNA BIOGRAFIA SU LUIGI STEFANINI di Gregorio Piaia              Luigi Stefanini (Treviso, 3 novembre 1891 – Padova, 16 gennaio 1956) è senza dubbio la figura di maggiore rilievo nel Novecento filosofico padovano ed un esponente di spicco del pensiero italiano d’ispirazione cattolica: muovendo dall’«idealismo critico» e poi dall’«imaginismo», egli   pervenne nella sua fase più matura al «personalismo», con significative applicazioni in campo pedagogico ed estetico. A cinquant’anni dalla sua scomparsa  la Fondazione Luigi Stefanini di Treviso ha promosso la pubblicazione di questo volume dalla mole decisamente cospicua,  frutto delle ricerche ed elaborazioni  di Glori Cappello, allieva di Giovanni Santinello (a sua volta discepolo del filosofo trevigiano) e docente al Liceo “Canova” di Treviso, del quale lo stesso Stefanini fu alunno e, per breve tempo, insegnante agl’inizi della sua carriera[1]. Nel ricostruire il percorso biografico e intellettuale di Luigi Stefanini l’autrice si è potuta avvalere, oltre che della biblioteca del filosofo, del suo ricco archivio personale, che i figli Paolo e Lucia hanno messo a disposizione della Fondazione a lui intitolata.  Da questa indagine lunga ed impegnativa si ricava non soltanto una biografia “onnicomprensiva” del filosofo, ma anche, di volta in volta, uno spaccato sul cattolicesimo veneto negli anni Dieci e Venti, uno scorcio sugli orientamenti filosofici dell’area cattolica nel ventennio fascista e nel secondo dopoguerra, una puntuale documentazione di prima mano su numerose vicende accademico-concorsuali sia padovane sia nazionali dagli anni Trenta alla metà degli anni Cinquanta. La corrispondenza ampiamente riportata nel volume  in oggetto rivela infatti una fitta rete di relazioni con gli  esponenti della cultura filosofica italiana del tempo (i grandi assenti sono Giovanni Gentile e Benedetto Croce) e con parecchi pensatori francesi, da Maurice Blondel a René Le Senne, Régis Jolivet, Pierre-Maxime Schuhl, Louis Lavelle, Jules Chaix-Ruy, ma anche con studiosi tedeschi come Eduard Spranger. La distribuzione della materia in numerosi capitoli e paragrafi ad hoc rende più agevole una consultazione settoriale e mirata di questo volume, che, concepito per «offrire un quadro complessivo della vita e dell’opera di Stefanini” (p. 13), costituisce in realtà una miniera di notizie e di spunti di riflessione, tale da ampliare assai il raggio dei potenziali lettori e fruitori. Certo, ad opera conclusa si potrebbe osservare che la mole del volume è tale da scoraggiare una lettura a tappeto, e viene da chiedersi se non sarebbe stato più opportuno e metodologicamente più corretto procedere alla pubblicazione integrale del carteggio conservato nell’archivio stefaniniano e costituito in massima parte da lettere “in entrata”, corredandolo di note ed indici dei nomi, ed affiancargli nel contempo un più agile profilo monografico su Stefanini uomo e pensatore. Ma, come dice il proverbio, “cosa fatta capo ha”, e non bisogna dimenticare, com’era solito dire il padre Carlo Giacon, grande amico di Stefanini, che “l’ottimo è nemico del buono”.  Veniamo dunque all’organizzazione interna del volume. Dopo una Premessa in cui l’autrice precisa i criteri seguiti nella utilizzazione delle carte d’archivio, esso è diviso in dodici capitoli, che riflettono lo sviluppo cronologico della  biografia e della produzione filosofica di Stefanini: I. Dagli studi liceali alla guerra mondiale; II. Dalla fine della guerra agli anni Venti; III. Ortodossia, apologetica, idealismo cristiano; IV. Gli anni Trenta. La carriera accademica; V. Gli anni Trenta. Tra pubblicazioni e corrispondenti; VI. L’interesse per l’estetica; VII. Gli anni della guerra; VIII. Gli anni della ricostruzione; IX. La possibilità di un trasferimento a Roma; X. Scolari, amici, colleghi tra la fine degli anni Quaranta e i primi anni Cinquanta; XI. Produzione da fine anni Quaranta al 1954; XII. Il 1955. La successiva Appendice di testimonianze presenta anzitutto una corposa serie di ricordi personali del figlio Paolo (pp. 850-887), stesi fra l’agosto e l’ottobre 1999, cui seguono le più brevi testimonianze di Armando Rigobello, Andrea Mario Moschetti, Pietro Faggiotto, Valdemaro Nistri, Renato Pagotto. Il volume si conclude con l’elenco delle pubblicazioni su Stefanini (ben 608 titoli dal 1915 al 2006) e con una lista di 28 tesi di laurea e di dottorato  conservate nella Fondazione Stefanini. A questa imponente bibliografia va oggi aggiunto un altro volume promosso dalla Fondazione Luigi Stefanini e nel frattempo dato alle stampe: Arte e linguaggio in             Luigi Stefanini (Europrint, Quinto di Teviso 2008), che raccoglie gli Atti del convegno svoltosi a Treviso nei giorni 10-11 novembre 2006.  Nella biografia di Stefanini si possono cogliere tre periodi ben caratterizzati. Il primo comprende gli studi liceali ed universitari, la partecipazione alla guerra mondiale e gli anni del   dopoguerra fino al 1923, ed è contrassegnato da un forte impegno in seno all’associazionismo cattolico trevigiano e poi veneto. Appena sedicenne, a Treviso fu tra i fondatori del circolo giovanile cattolico «San Liberale», presieduto da Giuseppe Benvenuti, allora studente di giurisprudenza a Padova. Nel 1911 è nominato dal vescovo Giacinto Longhin presidente della federazione giovanile diocesana e fonda un mensile, «Il Foglio dei Giovani», che nel ’13 sarebbe divenuto il periodico ufficiale della «Gioventù cattolica» del Veneto. Sono, com’è noto,  gli anni in cui l’associazionismo cattolico, in particolare quello giovanile e sindacale, è particolarmente attivo e vivace nell’intento di recuperare ai cattolici un ruolo politico e sociale, e già si delinea il contrasto fra l’ala moderata e conservatrice e l’ala più innovativa, tendente ad una maggiore libertà d’azione e nella quale ritroviamo il giovane Stefanini, che nel 1914 non esitò ad entrare in frizione con il vescovo Longhin (pp. 51-52). Già orientato verso la filosofia da un suo insegnante liceale, Paolo Rotta, futuro docente all’Università cattolica di Milano, nel 1910 Stefanini s’era iscritto all’Università di Padova al corso di laurea in Filosofia, soggiornando presso il pensionato universitario «Francesco Petrarca» (poi denominato collegio «Antonianum») e prendendo parte  alle attività del circolo cattolico «Giacomo Zanella»; da studente insegnò anche nelle scuole serali a Treviso. Il clima ideologico del tempo e la personalità del giovane Stefanini ben si colgono nel rifiuto a partecipare ad «un numero unico filosofico-letterario formato unicamente da noi studenti e dalle signorine [non «studentesse»!] della Facoltà» per festeggiare l’85° compleanno di Roberto Ardigò, che pochi anni prima (1909) aveva lasciato l’insegnamento patavino; l’iniziativa, precisava lo studente promotore Beniamino Romagnoli, «sarà al di sopra di ogni e qualsiasi opinione politica, al di sopra di ogni esclusionismo filosofico» (p. 56).  Netta e recisa fu la risposta dello studente Stefanini, datata 11 gennaio 1913: «Caro Romagnoli, ti ringrazio dell’invito deferente: ma non posso partecipare in alcun modo a questo vostro omaggio per un uomo che io non apprezzo né per convinzioni né per carattere. Ed è ingenuo, se è sincero, il vostro proposito di rimanere aconfessionali: perché, esaltando il bell’ingegno e il brav’uomo, finirete per esaltarne le dottrine, e la vostra iniziativa si ridurrà ad una delle solite montature anticlericali. Anzi ti dico che sarebbe aperto tradimento usurpare il nome della Facoltà, coinvolgendolo nella vostra iniziativa. E se potrai, e vorrai, fallo sapere che gli studenti cattolici di lettere contrappongono, al vostro omaggio, il disprezzo o almeno la compassione per quest’uomo che ha tradito e bestemmiato la loro Fede» (p. 57). Il 27 giugno 1914 Stefanini si laureò con una tesi sul filosofo francese Maurice Blondel, che sarebbe stata data alle stampe l’anno seguente. Il suo relatore era Antonio Aliotta, che dal 1913 al ’19 insegnò filosofia teoretica a Padova, per poi trasferirsi a Napoli ove insegnò fino al 1951 (a lui è intitolato l’attuale Dipartimento di Filosofia dell’Università “Federico II”). Il giorno dopo la laurea veniva assassinato a Sarajevo l’arciduca Francesco Ferdinando insieme con la consorte Sofia. Stefanini, che nel novembre 1912, al tempo della guerra di Libia, aveva scritto su «Il Foglio» che «quel soldato che non obbedisce ai propri superiori trasgredisce più ai precetti del Signore che alle leggi del codice militare» (p. 67), fu richiamato alle armi il 14 maggio 1915 nell’81° reggimento di fanteria. Il 27 gennaio 1916 fu ferito da una scheggia di granata sulle pendici del Sass de Stria, vicino al passo Falzarego. Venne congedato il 3 settembre 1919 con il grado di capitano e con una croce al merito di guerra; i rapporti dei superiori, a dire il vero, rilevano accanto alle doti positive di carattere la sua «scarsa istruzione militare» e la sua poca attitudine alle «fatiche di guerra» (pp. 76-77). Nel frattempo Stefanini s’era laureato anche in lettere (7 luglio 1919) con una tesi sulle teorie estetiche di Gian Vincenzo Gravina, che venne pubblicata a puntate sulla «Rivista di filosofia neo-scolastica». Riprese ad insegnare, ma non dimenticò il suo giovanile impegno nel movimento cattolico: nelle elezioni di fine ottobre 1920 fu eletto consigliere comunale e provinciale a Treviso nelle file del nuovo Partito Popolare Italiano. Nel settembre 1922 all’assemblea generale della «Gioventù cattolica» fu tra i pochi a «riaffermare rigorosamente l’inconciliabilità teorica e pratica del fascismo con il cristianesimo» (p. 109). Ma dopo la “marcia su Roma” vi è crisi in seno al movimento cattolico e al Partito Popolare trevigiano. La giunta comunale di Treviso si dimette nel dicembre 1922 e il Comune viene commissariato; altrettanto avviene l’anno successivo per la giunta provinciale. Nel luglio 1923 Stefanini si dimette dalla carica di presidente regionale della Gioventù cattolica e si dedica interamente all’insegnamento e agli studi, partecipando con successo al concorso nazionale per l’insegnamento di filosofia, storia ed economia politica nei Licei.    Inizia così il secondo periodo, che va dal 1923 al 1936, anno in cui il filosofo trevigiano fu ammesso nei ruoli universitari. Dopo un breve periodo d’insegnamento a Taranto e quindi a Mantova, a partire dall’anno scolastico 1924-’25 è docente di filosofia e storia al Liceo “Tito Livio” di Padova. Compone un manuale per gli Istituti magistrali, cui segue nel 1928 il fortunatissimo Sommario storico della filosofia. Nel 1925 conseguì la libera docenza in pedagogia e a partire dall’anno seguente tenne dei corsi liberi di pedagogia all’Università di Padova. Il 25 ottobre 1928 si sposò con Maria Javicoli, da cui ebbe tre figli (Elena, Paolo e Lucia). Dopo la pubblicazione dei manuali si volge con decisione alla ricerca in campo filosofico e storico-filosofico; è interessante in proposito una lettera alla fidanzata del 27 agosto 1928, in cui delinea il suo programma di lavoro ed accenna ai motivi ispiratori: «Ma torniamo ai miei studi: ti dicevo dunque che la cosa più difficile e penosa per me è dar un ordine nella mia mente e propormi un piano di lavoro preciso. In un primo periodo della mia vita, fino all’anno scorso, il piano fu questo: dare alle scuole testi di filosofia cristiana secondo i nuovi programmi: l’avevo concepito il giorno stesso in cui era stata promulgata la riforma [la Riforma Gentile del 1923]. Questa prima parte è compiuta e sono soddisfatto. Ora debbo attendere a produzioni scientifiche, così dette, e sufficientemente serie per poter tentare tra quattro o cinque anni un concorso universitario. Anzitutto in ogni numero della rivista [si tratta della nuova rivista «Convivium», il cui primo numero sarebbe apparso all’inizio del 1929 e di cui Stefanini era uno dei tre direttori] pubblicherò uno o due articoli dove svolgerò, da un punto di vista più teoretico che storico, un sistema completo di filosofia cristiana, secondo le esigenze della mentalità moderna. […] Degli articoli farò di volta in volta la tiratura a parte e tra due anni avrò un bel volume di filosofia teoretica. Da questo lavoro teoretico uscirà un lavoro storico che esige molto tempo e fatica e si andrà lentamente maturando in quattro o cinque anni. Riguarderà  le fonti cristiane della filosofia moderna, specialmente del kantismo [in realtà questo tema non venne poi affrontato da Stefanini] e dell’idealismo assoluto. In questi lavori, dove metterò tutta la mia anima e la mia fede religiosa, rischierò di essere un po’ troppo apologista e di smarrire quella freddezza e quel rigore scientifico che sono indispensabili per poter essere presi in considerazione per un concorso universitario. Perciò ho deciso di iniziare subito un lavoro su Platone. Una completa disamina ed interpretazione del suo pensiero da un mio punto di vista particolare, che già ho illustrato superficialmente in uno studio sull’Estetica di Platone ed in un’introduzione all’Eutifrone […]» (p. 149; il Platone stefaniniano sarebbe apparso a Padova in due volumi presso la Cedam negli anni 1932-’35).La questione della «filosofia cristiana» e quindi dei rapporti fra cristianesimo e filosofia moderna era in effetti assai avvertita in quegli anni e avrebbe dato luogo a un ampio dibattito in Francia e in Italia, ove la posizione teoretica di Stefanini, che sosteneva allora la possibilità di un «idealismo cristiano», si differenziava da quella dei neoscolastici come il padre Agostino Gemelli. Ciò non fu senza conseguenze sul piano dei concorsi universitari, in quanto Stefanini era considerato un cattolico dallo  schieramento laico (gentiliano e crociano), ma i “cattolici”, che facevano capo all’Università cattolica del Sacro Cuore di Milano,  lo posponevano a candidati più “ortodossi” o provenienti comunque dal loro vivaio, mentre Stefanini (laureatosi oltretutto con Aliotta, che non poteva certo essere definito un pensatore cattolico) venne a trovarsi nella poco gradevole situazione dello studioso apprezzato ma isolato… Ed infatti nel 1932 il filosofo trevigiano rimase escluso dalla terna dei vincitori del concorso per la cattedra di pedagogia all’Università cattolica. Migliore esito ebbe il concorso per la cattedra di filosofia e storia della filosofia all’Istituto superiore di Magistero di Torino, in cui Stefanini entrò nella terna vincente insieme con Nicola Abbagnano, candidato “locale”, e Gallo Galli. Ma il concorso venne annullato in seguito a un ricorso inoltrato al Ministero dell’educazione nazionale da Enrico Castelli, uno dei candidati esclusi. Il concorso fu ribandito nel 1936 e questa volta tutto filò liscio: il 16 dicembre 1936 Stefanini prese servizio a Messina presso la Facoltà di Magistero, ov’era stato chiamato sulla cattedra di filosofia.

Il terzo periodo abbraccia dunque l’insegnamento universitario a pieno titolo, che si svolse quasi interamente a Padova, ove Stefanini venne chiamato per trasferimento sulla cattedra di pedagogia (così era stata ridenominata la cattedra di paleografia e diplomatica lasciata per limiti di età da Vittorio Lazzarini), prendendo servizio il 29 ottobre 1937. Dopo la morte di Giuseppe Lombardo Radice (agosto 1938) Guido De Ruggiero pensò a Stefanini quale possibile successore sulla cattedra di pedagogia alla Sapienza, ma Stefanini rimase a Padova, ove dall’a.a. 1940-’41 si trasferì sulla cattedra di storia della filosofia lasciata libera da Emilio Bodrero, chiamato a Roma ad insegnare storia e dottrina del fascismo presso la Facoltà di scienze politiche. Inoltre già dal 1938 gli era stato conferito l’incarico di estetica, cui si aggiunse nel 1942 l’incarico di pedagogia nella veneziana Ca’ Foscari. Nel biennio 1941-’43 fu preside della Facoltà di lettere e filosofia, succedendo ad Aldo Ferrabino. Nel maggio 1944, per sfuggire ai bombardamenti anglo-americani, Stefanini trasferì la famiglia da Padova a Cavaso del Tomba, nella zona pedemontana, ospiti della contessa Emma Premoli. Nel maggio del 1945, all’indomani della Liberazione, la commissione per l’epurazione sospese Stefanini dall’insegnamento con l’accusa di «attiva collaborazione col fascismo sul piano educativo e di essere stato membro del direttorio del fascio di Padova» (p. 458). La sospensione venne poi  commutata in semplice «astensione dai doveri accademici», finché in data 5 novembre 1945 a Roma l’Alto commissario per le sanzioni contro il fascismo decretò l’archiviazione del provvedimento «per la scarsa rilevanza degli addebiti» (p. 459).

Per quanto si fosse risolta, come si vede, in una bolla di sapone, questa vicenda colpì ed amareggiò profondamente il filosofo, che era stimato dai colleghi ed assai amato dai suoi studenti;  fra questi ultimi troviamo il futuro scrittore vicentino Luigi Meneghello, che avrebbe poi rievocato questo episodio in alcune pagine del romanzo Fiori italiani (1976), qui  opportunamente citate (pp. 441-442 e 456; ma v. pure, alle pp. 607-608, la lettera che in data 9 novembre 1947 Meneghello inviò a Stefanini dall’Inghilterra, quale addetto all’Istituto italiano di cultura di Londra). All’amarezza per questa vicenda si aggiunse il disagio per la requisizione, da parte del comando militare britannico di Padova, dell’appartamento che la famiglia Stefanini aveva in affitto al quinto piano del nuovo palazzo in stile fascista posto fra via Verdi e piazza Spalato (ora piazza Insurrezione). Va inoltre tenuto presente che la comunicazione ufficiale, da parte dell’Università di Padova,  del decreto di archiviazione del provvedimento contro il professor Stefanini è datata 2 febbraio 1946 e precede di soli due mesi la morte della moglie Maria (6 aprile 1946). Quanto all’atteggiamento di Stefanini con il fascismo, la sua iniziale avversione per questo movimento politico dovette probabilmente mutare dopo la chiamata di  Mussolini al governo e in particolare dopo la Riforma Gentile, che concedeva spazio all’insegnamento della religione nella scuola pubblica, tant’è vero che dal 1° novembre 1926, ben prima dei Patti Lateranensi, egli risulta iscritto alla sezione degli insegnanti medi per la Provincia di Padova del «Gruppo nazionale fascista della scuola», mentre l’iscrizione al PNF risale al 5 dicembre 1932 (p. 419). Nel gennaio 1940 Stefanini, aderendo all’appello lanciato dal rettore Carlo Anti,   partecipò all’Università di Milano al I convegno nazionale della Scuola di mistica fascista con una relazione dal titolo «Varietà di atteggiamenti mistici in rapporto alla forma specifica degli Italici» (pp. 421-422). Ma più che su questi atti, che accomunano Stefanini a molti altri intellettuali e docenti universitari del ventennio (si pensi al caso ben più clamoroso di Abbagnano, che solo di recente è venuto alla luce), l’attenzione andrebbe semmai posta  sui tentativi, messi in  atto nel corso del 1944, di stabilire un collegamento tra le frange moderate del fascismo di Salò e taluni esponenti dello schieramento antifascista: è il caso del «Raggruppamento Nazionale Repubblicano Socialista» progettato da Edmondo Cione e al quale Carlo Alberto Biggini, amico di Cione e ministro dell’Educazione nazionale (la sede del ministero, com’è noto, era a Padova nel palazzo Papafava in via Marsala) guardava con grande favore. In una lettera da Milano del 2 novembre 1944 Edmondo Cione, che aveva conseguito la libera docenza in storia della filosofia nel 1942 ed aveva appena pubblicato una monografia assai critica su Croce,  così scrive a  Stefanini: «Caro Stefanini, una notizia strettamente confidenziale: ero a cena con B. [= Biggini], gli ho mostrato la tua lettera, lui mi ha chiesto di te ed io gli ho manifestato il tuo parere. Mi ha fatto una domanda a bruciapelo: cosa ne penseresti se, in un avvenire più o meno lontano, lo si facesse rettore? Io gli ho detto che saresti stato benissimo a tal posto. Non so se la cosa ti faccia piacere, ma se a te lo facesse per un avvenire più o meno lontano, io, che ora vedo spesso B., potrei tornare sul discorso. Ti raccomando su questo punto il più stretto riserbo: ho parlato con B. del tuo libro sulla Chiesa Cattolica. Egli desidera leggerlo. Vuoi inviarglielo, o, meglio, portarglielo? Puoi dire che io t’ho scritto ch’egli desiderava leggerlo e che tu hai creduto (se effettivamente credi) di fargliene omaggio […]» (p. 451). Questa lettera si presta ad ipotesi svariate e più o meno intriganti: si può pensare ad una proposta  proveniente dallo stesso Stefanini oppure ad un tentativo di coinvolgere  Stefanini in un’operazione politica ad ampio raggio e di preparare a tal fine un contatto  diretto con il ministro Biggini, oppure, più semplicemente, ad un’azione persuasiva (al limite del millantato credito) affinché il filosofo padovano si ricreda e si decida a recensire la monografia crociana di Cione, cui non  caso si accenna nelle righe successive…  L’autrice, dal canto suo, rileva che la mancanza di  documentazione al riguardo fa «concludere per l’assenza di qualsiasi relazione tra Stefanini e la politica della Repubblica Sociale» (p. 452). In effetti in quel periodo travagliato l’interesse di Stefanini sembra concentrarsi, oltre che sull’insegnamento, sull’elaborazione di un’opera (La Chiesa Cattolica, stampata a Milano nel 1944) in cui una riflessione avviata sin dai fervidi anni giovanili s’intreccia con la consapevolezza della gravità del momento e della svolta epocale prodotta dal conflitto in corso: «La crisi che imperversa sull’umanità  – egli nota nella Premessa, che porta la data del fatidico mese di luglio 1943 – riguarda non soltanto spazi d’impero  e zone di influenza economica, ma anche istituti, dottrine, valori: tutto ciò su cui  un ordine consiste o si ricompone. Le coscienze, scosse dalla violenza dei fatti, sono disposte alle revisioni più radicali e agli orientamenti più arditi. Occorre raccoglimento a che il turbine non ci rapisca a noi stessi. Questo studio è un invito al raccoglimento» (p. 452).

Nell’arroventato clima ideologico del secondo dopoguerra la faccenda dell’epurazione (sia pure rientrata) non mancò di esercitare il suo peso, ad es. sull’ammissione di Stefanini alla ricostituita Accademia dei Lincei, tentata senza successo nel 1947 e poi nel ’49; senza esito positivo fu anche la partecipazione, nel 1952, al Premio nazionale dell’Accademia dei Lincei per le scienze filosofiche, che in quell’occasione fu attribuito a Carlo Antoni, ch’era stato «segnalato» da Croce e da Fausto Nicolini. Vale comunque la pena riportare il giudizio della commissione, che ci appare a tutt’oggi equilibrato ed equanime: «Dotato di vere attitudini speculative e di un sincero pathos filosofico, si distingue per una larga cultura, un’indefessa operosità e, che è più, per un’acuta sensibilità  a tutti i problemi dello spirito. Non c’è quasi disciplina filosofica alla quale, con volumi e saggi, egli non abbia recato notevoli contributi: estetica, metafisica, etica, filosofia della religione e, naturalmente, storia della filosofia. […] Partito da un idealismo cristiano, rivelante influssi così del Blondel come della dialettica idealistica, ma nutrentesi soprattutto di spunti patristici, ha procurato sempre più, con sincero travaglio, di far palese a se medesimo per l’appunto la sua posizione filosofica, che può essere qualificata quella di un personalismo cristiano, che mira non già a subordinare dommaticamente la dottrina filosofica al presupposto di una rivelazione, ma piuttosto – vi riesca o non vi riesca – a farsi condurre dall’intimità delle esigenze ideali dello spirito e dal travaglio stesso della ragione a riconoscere il trascendente e il vitale rapporto di esso con l’io», salvo evidenziare, in chiusura di giudizio, «un certo difetto di concentrazione, spesso un prevalere dell’intuizione e dell’afflato mistico sul rigore del metodo e della dimostrazione e anche, qua e là, una non perfetta chiarezza» (p. 692).

A questi mancati riconoscimenti in sede nazionale si può aggiungere il fallimento del tentativo di trasferirsi alla Sapienza di Roma, prima  sulla cattedra di filosofia teoretica e poi su quella di storia della filosofia, resesi vacanti per la morte, rispettivamente, di Pantaleo Caraballese (1947) e di Guido De Ruggiero (1948). Questa vicenda accademica si trascinò parecchio, con sottili schermaglie e lunghi rinvii. A differenza di dieci anni prima, questa volta Stefanini s’impegnò a fondo per chiare ragioni di ordine ideologico-culturale, com’egli dichiarò espressamente all’amico Guido Gonella,  allora ministro della Pubblica istruzione, in una lettera del 24 maggio 1951: «Tu sai che io non ho nessun interesse personale per muovermi da Padova, dove sto benone; ma, contro le mie comodità e la tentazione del quieto vivere, sento il dovere di portare a termine la battaglia per l’accesso di un filosofo cattolico a una cattedra che le forze avverse hanno sempre tenuta gelosamente  riservata agli esponenti del pensiero anticattolico» (p. 595; l’allusione è ai seguaci del neoidealismo, che detenevano il predominio alla Sapienza).  La vicenda si chiuse, com’è noto, con la messa a concorso delle due cattedre: su quella di filosofia teoretica fu chiamato Ugo Spirito (1950), mentre su quella di storia della filosofia, trasformata in storia della filosofia medievale, fu chiamato Bruno Nardi (1951), che tenne inoltre per incarico l’insegnamento di storia della filosofia.

La resistenza opposta a Stefanini dal fronte “laico” era alimentata anche dal ruolo che il filosofo padovano aveva svolto nell’organizzazione e promozione del «Centro di studi filosofici cristiani di Gallarate», così denominato perché svolgeva i suoi convegni annuali nell’Istituto “Aloisianum” di Gallarate, sede della Pontificia facoltà di filosofia dei padri gesuiti dell’Italia settentrionale. L’iniziativa d’istituire un coordinamento stabile tra i filosofi d’ispirazione cattolica, con il duplice obiettivo di promuovere la rinascita degli studi filosofici e di incrementare la presenza accademica dei cattolici, era nata a guerra appena finita: nell’agosto 1945 il padre Carlo Giacon SJ (che nel 1951 sarebbe stato chiamato sulla cattedra di storia della filosofia a Messina, trasferendosi poi nel ’58 a Padova presso la Facoltà di Magistero) ebbe in tal senso un colloquio a Gallarate con Umberto Padovani (che nel ’47 sarebbe succeduto a Troilo sulla cattedra padovana di filosofia teoretica)  e quindi a Padova con Stefanini. Il progetto fu poi discusso dallo stesso p. Giacon con Michele Federico Sciacca a Pavia, con Augusto Guzzo nei pressi di Torino, con Felice Battaglia a Bologna, ed ebbe una prima realizzazione nel convegno svoltosi fortunosamente a Gallarate  dal 22 al 24 ottobre 1945 sul tema «Orientamenti contemporanei della filosofia cristiana e delle filosofie non cristiane» (pp. 496-497). Convinto del valore dell’iniziativa, Stefanini partecipò attivamente e vivacemente a tutti i primi convegni, tranne a quello del 1955, quando la malattia che l’avrebbe rapidamente portato alla morte era ormai ad uno stadio avanzato.

Intensi e fecondi furono gli ultimi anni di Stefanini, in cui le opere più mature (Metafisica della persona, 1950; Personalismo sociale, 1951; Esistenzialismo ateo ed esistenzialismo teistico, 1952; Personalismo educativo, 1955; Trattato di estetica, 1955) si affiancano ad iniziative come il ciclo di conferenze su «La mia prospettiva filosofica» (1949-’50) e la fondazione della «Rivista di Estetica» (di cui poté vedere solo il primo numero); al lavoro per l’Enciclopedia filosofica (l’impresa più impegnativa  promossa dal Centro di Gallarate); agli impegni istituzionali  (nel 1952 fu nominato presidente della consulta del Centro didattico nazionale per la scuola secondaria); a riconoscimenti prestigiosi come il premio Marzotto, ex aequo con Ugo Spirito (1953); alla collaborazione alle pagine culturali de «Il Popolo» e ad interventi sui nuovi mezzi di comunicazione di massa (nel maggio 1955 la neonata TV registrò una sua conversazione per la «Rubrica religiosa»; per un convegno tenuto alla Mendola nel successivo mese di luglio stese una relazione dal titolo Linee di un’estetica del cinematografo). Un tumore ai polmoni, già in fase avanzata quando venne diagnosticato, interruppe nel giro di pochi mesi l’operosità scientifica e l’appassionato impegno didattico di Luigi Stefanini. Nel novembre 1955 fu costretto a dimettersi dalla commissione giudicatrice del concorso di storia della filosofia a Cagliari e gli subentrò Cleto Carbonara. Si sforzò di fare lezione fino all’ultimo, benché fosse quasi impossibilitato a camminare. Durante le festività natalizie le sue condizioni peggiorarono. A partire dal 9 gennaio 1956 gli insegnamenti di storia della filosofia e di estetica furono temporaneamente affidati a Giovanni Santinello e a Giuseppe Flores d’Arcais. Qualche giorno dopo, il 16 gennaio, in una fresca ed umida mattinata invernale – ricorda il figlio Paolo – Luigi Stefanini lasciò serenamente questo mondo, dopo aver salutato ad uno ad uno i familiari e gli amici più intimi. Molte sono le testimonianze lasciate su di lui da colleghi, amici e studenti; valga, per tutte, la testimonianza di un filosofo, Antonio Banfi, che militava in campo opposto: «Come suo avversario nella lotta per le idee, è piuttosto la sua figura di combattente che mi sta dinanzi e che di giorno in giorno accentua il dolore per la sua scomparsa. Combattente non mai per la propria opinione, sempre per la propria verità: leale, franco, cordiale anzi con gli avversari, con un’irresistibile tendenza a scoprirne o a sperarne il consenso. […] Fu credente schietto, sincero, per una fede connaturata in lui da tutta una tradizione e da tutta una vita. La sua religione, perciò, fu sì anche costume  e ossequio all’autorità, ma fu prima e soprattutto sentimento profondo animante di sé le sue azioni, i suoi pensieri, il senso e il valore di ogni forma e di ogni indirizzo spirituale. Ed amò confermarla non con l’appello ad un magistero tradizionale, o alla validità di un Istituto, ma nel libero esercizio del pensiero, nella ricerca filosofica  condotta su un largo orizzonte d’informazioni e di interessi. Fu per questo veramente l’erede – l’unico erede – dei filosofi spiritualisti cattolici italiani dell’Ottocento, da cui sembrò derivare anche il tono formalmente romantico del suo discorso. La sua fede e la sua filosofia – profondamente cattoliche – si riportavano perciò non ad una theologia crucis ma ad una theologia gloriae» (p. 835; questo “ricordo” apparve sul secondo numero della «Rivista di Estetica»).

 

[1] Glori Cappello, Luigi Stefanini dalle opere e dal carteggio del suo archivio, con appendice di testimonianze e bibliografia generale delle opere su Luigi Stefanini a cura della Fondazione Stefanini, Quinto di Teviso (TV), Europrint Edizioni, 2006, pp. 946 (Libri della Fondazione Luigi Stefanini, 6).

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