R. Pagotto Relazione su linguaggio e interpretazione in L. Stefanini

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CONVEGNO DI FABRIANO (14-15 gennaio 2000)

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LINGUAGGIO E INTERPRETAZIONE in LUIGI  STEFANINI

(comunicazione di Renato Pagotto)

  

Per capire Stefanini occorre avvicinarsi allo spirito più che alla lettera della tradizione cristiana. Il che non è facile neppure per i credenti. Ma anche per chi non crede l’antropologia stefaniniana è fonte di serio confronto critico. Quando un pensatore ha radicalmente rivisitato i temi fondamentali della filosofia, come lui ha fatto, non è prudente prescinderne a cuor leggero. Tra quei temi risulta dominante quello del soggetto pensante, in serrato confronto con la modernità, nel rigore e nella correttezza delle rispettive autonomie, spesso antinomie, di ragione e fede.

Filosofo della prima metà del novecento, con insolita apertura alla modernità laica, accompagnata da indiscussa fede ed esempio di vita, gli si riconoscono originalità di impostazione filosofica, rigore logico, passione indagatrice e apertura critica sulle vedute filosofiche contemporanee, quale è raro riscontrare in campo cattolico, ove, spesso, si riproducono forme piuttosto ripetitive del patrimonio speculativo tradizionale[1]. Si può dire di lui quanto egli scrive del Gioberti: “rivolgeva le sue cure insonni … ai destini del Cattolicesimo nel mondo moderno”[2].

 

 

Ma se egli struttura un’interpretazione della modernità mediante un linguaggio e un’antropologia filosofica del tutto peculiari, secondo quella che egli definisce la creatività della persona, Stefanini non ha piantato un nuovo albero nella selva delle filosofie contemporanee. Ha rinverdito l’albero portante della tradizione patristico-medievale. In essa ha innestato le concezioni delle filosofie più in voga. Per ciascuna di esse ha trovato, nella tradizione, una risposta. Risposta che non è ripetizione di formule, ma riformulazione, in chiave moderna e con linguaggio nuovo, dello spirito della patristica. Quasi moderno padre della Chiesa, egli offre un’interpretazione razionale della fede, secondo moduli espressivi in cui la contemporaneità si riconosca con i suoi acquisti di pensiero.

Così, se in Rosmini possiamo vedere un primo tentativo di impostazione antropologica moderna della metafisica della trascendenza[3], in Stefanini, prevalentemente sulla scia del Gioberti, l’interpretazione del rapporto tra ragione e fede assume i contorni di una disamina puntuale delle posizioni moderne, che tale rapporto compromettono in vario modo (da Cartesio ad Husserl, da Kant a Gentile, da Comte a Freud, da Hegel a Marx, da Hume a Dewey).

Ecco, allora, il cartesianismo ricollegarsi al filone agostiniano; l’idealismo diventare idealismo cristiano; lo scientismo positivista riscattarsi dal concetto limitativo di esperienza, per accreditare l’esperienza esistenziale del soggetto stesso; l’esistenzialismo uscire dal crogiolo dell’angoscia indotta dalla libertà del singolo, verso l’esaltante dignità d’una finitezza, riflesso irriproducibile dell’infinitezza divina; il marxismo rivoluzionario rovesciarsi nella rivoluzione del personalismo sociale; il freudismo acquisire, al di là dei puri meccanismi dei condizionamenti inconsci, una coscienza riconciliata con la razionalità del senso integrale della persona; il pragmatismo svilupparsi come pedagogia concreta, incentrata sull’esperienza d’incontro tra maestro e allievo; la neoscolastica della metafisica dell’essere, ritrovare l’autenticità dell’essere, nella verità di un universale divenuto sinonimo di interpersonale; il vitalismo irrazionalistico e individualistico, sostanziarsi di scambio dialogico, nella ricchezza della molteplice diversità dei soggetti umani. Tutto e sempre nell’alveo del patrimonio tradizionale della luce cristiana, che nella storia ha da sempre contrassegnato lo sviluppo del pensiero umano[4]. Come nei primi secoli ci fu il superamento del naturalismo dei greci, mediante l’assimilazione critica del messaggio cristiano, così in epoca moderna, abbandonando quell’ispirazione, si registra un fallimentare ripiegameto della ragione nel razionalismo immanentista[5].

Ciò non toglie che la strada percorsa dalla speculazione moderna, svincolata dai contenuti di fede, non offra preziose possibilità di nuove interpretazioni della stessa. Per questo, però, il filosofo cristiano deve imparare a muoversi, come diceva Gioberti, anche “fuori delle gerarchie ecclesiastiche, per piegarle alle esigenze della moderna cultura”, pur senza “esorbitare dalla disciplina”, ma anche a costo di “rassegnarsi a soffrir fortemente in vista del bene futuro”. E’ infatti nell’immedesimazione colla parola della Chiesa che il fedele “esprime il suo pensiero libero come l’essenza stessa del Cattolicismo”; onde “inverare il meglio della filosofia moderna, riportandola alle sue origini cristiane”[6]. In tal modo si attua “la rivoluzione speculativa che il Cristianesimo ha operato nella nuova civiltà del pensiero”[7].

Si tratta dunque di un problema di libertà, di cui A. Carlini, pur in polemica con Stefanini sul concetto di metafisica (che, per lui, in Stefanini era troppo forte), rendeva testimonianza scrivendo: “Stefanini è laico, ossia libero, non avendo una dottrina prestabilita da difendere in filosofia”[8].

È lecito allora chiedersi, attenendoci al titolo del Convegno, se si possa parlare di un “linguaggio” stefaniniano, che ci consenta di riconoscere alla sua metafisica della persona una qualche affinità con le recenti posizioni speculative di tipo ermeneutico. La richiesta, pur allettante, non può essere soddisfatta se non con uno sguardo a tutta l’opera stefaniniana.

Qui sia consentito di fare appena cenno alle caratteristiche del linguaggio stefaniniano. Immediatamente evidente è l’essenzialità e la coerenza semantica nell’assunzione dei termini[9]. Gli accostamenti tra posizioni di pensiero, apparentemente dissimili, possono talora apparire arditi e inusuali (si pensi al freudismo accostato al marxismo), ma alla fine risultano giustificati da una funzionale strategia razionale. L’uso misurato della metafora rivela l’innata attitudine pedagogica dell’autore, peraltro consapevole dell’intrinseca appartenenza della pedagogia  allo statuto del sapere filosofico. La precisione definitoria, persino lapidaria, dei nuclei chiave della speculazione, è tipico della filosofia stefaniniana (si legga, riga per riga, Personalismo sociale). Si può dire, con sue parole, che al suo stile non appartengono concetti che “amano spesso dileguare in contorni chiaroscurali, in cui si perde il risalto schietto del nucleo speculativo”[10]. Infine, la solare eleganza sintetica, nell’enunciare concetti tra i più impervi (dal Platone al Trattato di estetica, da L’imaginismo a l’Esistenzialismo ateo ed esistenzialismo teistico) è anch’essa una singolarità che fa del linguaggio stefaniniano un unico inimitabile, partecipe dei  caratteri dell’unicità e dell’insostituibilità della realtà personale (significativo il saggio L’anima d’Europa è la singolarità).

In conclusione, alle due domande che il Convegno suggerisce, se si possa parlare di un linguaggio caratteristico di Stefanini e se dall’insieme dei suoi scritti si possa desumere una specifica ermeneutica, la risposta è affermativa. Almeno per i seguenti aspetti.

Riepilogando, le qualità inconfondibili del suo linguaggio possono riassumersi in: organicità sintetica del fraseggio lapidario e senza sbavature; dialogicità intrinseca con le altre posizioni di pensiero, mediante riferimenti espliciti e impliciti, con cui sono condotte le varie argomentazioni; gusto dell’eleganza stilistica, anche nel cuore della più schematica logicità; sobrietà e misura nell’aggettivazione, appena indispensabile a definire un pensiero.

Quanto alla sua ermeneutica essa si delinea: a) sul terreno di una nitida filosofia della storia, di derivazione agostiniana ma anche vichiana e, per certi aspetti, idealistica (vedi, in particolare, i testi ad uso scolastico, con l’inquadramento degli autori all’interno di un processo che si sviluppa storicamente, contrassegnato dal messaggio cristiano: processo non propriamente dialettico e tuttavia manifestativo dell’Idea divina, il  Verbo, nella sua continua rivelazione, da Socrate, come preparazione del momento dell’Incarnazione, a Bonaventura, come comprensione progressiva della verità, anche in relazione alla natura, sino ai contemporanei)[11]; b) nel pronunciamento esplicito nei confronti dell’attualismo gentiliano, il più diretto antagonista speculativo,  e di altre filosofie imperanti nella prima metà del novecento. Esse, vengono, tuttavia, assunte da Stefanini dall’interno, non estrinsecamente, delle loro possibilità di integrazione razionale con il messaggio cristiano[12].

Si può chiedersi se si tratti di un linguaggio propriamente metafisico.

Tempo fa era in uso la distinzione tra filosofie forti e deboli. Ebbi l’imprudenza di accettare l’osservazione di un relatore che, a Treviso, si espresse per uno Stefanini incline ad una filosofia debole. Capisco di essermi lasciato trascinare da un’impressione  superficiale. Lo stile stefaniniano, apparentemente letterario, può far velo al giudizio sulla sua intrinseca struttura logica, concettualmente rigorosa. Ora mi accorgo che quella distinzione accondiscendeva alla moda dominante di allora (la Verwindung, il superamento o oltrepassamento della metafisica, a favore del metodo ermeneutico), ma non poteva essere applicata a Stefanini. E’ possibile considerarlo nell’orizzonte della Verwindung, forse nel senso di un necessario superamento di una dottrina dell’essere troppo astratta, la quale non può proporsi come fondamento di una metafisica convincente e persuasiva. Ma al fondamento metafisico, inteso radicalmente, nel senso precisato nella teoria della persona, Stefanini non ha mai rinunciato. Riconducendo la verità dell’essere all’esperienza psicologica dell’essere della persona (non come dato della descrittività psicologica della fenomenologia, nè tanto meno nel senso della psicologia empiristica) l’atto della razionalità è portato al suo compimento, nel senso che il soggetto solo conoscendo se stesso conosce e significa l’essere. Solo nel dire a se stessa “io sono” la persona conferisce senso al pensiero dell’essere. In questo contesto “la parola non è un accessorio dell’essere…: è l’appartenenza intrinseca dell’essere che è personale in quato si dichiara a se medesimo, possedendosi nella consustanzialità del proprio verbo”[13]. Perciò l’interpretazione stefaniniana dell’essere è da intendersi metafisica in senso classico, diciamo forte se ci piace, ma con l’intrinseca necessaria personalizzazione dell’essere, che, in tanta filosofia tradizionale non risultava altrettanto evidenziata.

Oppure, se accettiamo quanto G.Reale sostiene, commentando Persona e Atto di Wojtyla, quella di Stefanini è un terzo tipo di metafisica[14]. Metafisica completa, a differenza di quella “incompleta”, com’egli usava dire a proposito di quella di G.Bontadini[15]. La sua tesi fondamentale non s’incentra sull’essere ma sull’essere della persona; ove essere e persona non sono uno predicato dell’altro, ma l’atto vivente dell’autoriconoscimento dell’essere, nel suo essere persona. Al di fuori di quell’atto si brancola nel logicismo, nell’astrattismo, nel vuoto semantico. Perché quell’atto, che è psicologico, ossia tale da interessare non solo la dimensione conoscitiva, bensì anche quella del sentire e del volere, sfocia sostanzialmente sul terreno della metafisica. Parlare di conoscenza a prescindere dal conoscente è dunque, per Stefanini, un discorso privo di autentico ancoraggio metafisico.

Ciò che probabilmente rende inclassificabile Stefanini, sia tra i forti che tra i deboli, è l’assunzione esplicita del suo presupposto, nell’affermazione “il mio dogma è l’io”. E’ qui dove può introdursi il sospetto che un tale presupposto di natura soggettiva possa assurgere a fondamento di una filosofia. Ma voler definire soggettivismo, metafisicamente inattendibile, un simile inizio significa svalutare la stessa via agostiniana, ed anche cartesiana, per quanto nel suo inizio questa mantiene prioritario l’essere del cogitante. La conseguenza sarebbe di precludersi la via all’autoriconoscimento dell’essere nella sua prioritarietà dell’essere in quanto persona. Comunque, tale è la distanza che Stefanini prende, netta e ripetutamente riaffermata (dimostrata), dal soggettivismo immanentistico moderno (anche cartesiano), che lo legittima ampiamente nel compito che maggiormente lo caratterizza nell’orizzonte della filosofia italiana del Novecento.

In particolare, se osserviamo i passaggi salienti della teoria stefaniniana della persona, li troviamo contrassegnati costantemente dall’uso dimostrativo del linguaggio. Ossia nella coerenza interna che tutti lega e tiene saldamente uniti i passaggi logici: dalla giustificazione del principio di identità (di chiara derivazione fichtiana, ma senza implicazione idealistica) all’interpretazione dell’essere della persona, nel contesto di una razionalità aperta e atta a riconoscere sia la sua radicale derivatività ontologica (categoria che apre sulla necessaria dipendenza dell’uomo da un Trascendente), sia la trascendenza del rapporto verso gli altri esseri umani (rapporto di razionalità sociale, senza subalternità della persona alla realtà sociale).

Quelle due forme di riconoscimento e di interpretazione dell’essere della persona, come essere essenzialmente in relazione, convergono nel senso di una libertà necessariamente limitata e tuttavia sufficientemente garantita dalla verità metafisca nella sua lettura esistenziale.

Nella visione antropologica stefaniniana, la persona, una volta intesa come presupposto centrale della propria fede filosofica, si fa criterio di linguaggio dimostrativo (ricorrente è l’uso del termine dimostrare) e interpretativo dell’essere, in tutte le sue articolazioni di realtà morale, pedagogica, sociale, politica, economica, estetica e religiosa.

Analizziamo, ad esempio, la struttura di un ragionamento usato da Stefanini in una delle sue tesi, apparentemente refrattarie al necessario rigore dimostrativo: la definizione della psicanalisi freudiana come “marxismo psicologico”. Com’è condotta l’argomentazione? Si stabilisce come denominatore comune il concetto di natura in Hegel e in Marx, onde dedurne il concetto di alienazione. Se in Hegel la natura è alienazione dall’idea, in Marx è l’idea ad essere alienazione rispetto alla natura. Ora, se la categoria dell’alienazione trova nel concetto di natura un possibile confronto tra Hegel e Marx, Stefanini ne trasferisce la struttura logica nel confronto tra Marx e Freud, facendo sempre leva sul  concetto di natura. Il capovolgimento materialistico operato da Marx, rispetto al concetto hegeliano di spirito, non intacca la categoria dell’alienazione. La natura, come sinonimo di vita, conosce due tipi di alienazione della coscienza: l’alienazione economica marxista, vista nell’orizzonte della storia dell’umanità, e l’alienazione della rimozione freudiana, vista nell’ambito della storia dell’individuo. Due forme di alienazione entrambe contrassegnate da meccanismi deterministici che presiedono ai comportamenti umani (alienazione dall’oggetto prodotto mediante lavoro o mediante desiderio), ed equiparabili nella loro effettiva compromissione della libertà umana[16].

In tale operazione logica Stefanini obbedisce alla sua ermeneutica di fondo: ogni modello di antropologia a carattere naturalistico, è riconducibile ad un concetto di natura che prescinde dallo sviluppo della storia dell’umanità, cui il cristianesimo appartiene di diritto. Il criterio ermeneutico stefaniniano traspare dalla struttura speculativa del suo pensiero che non si lascia guidare dalla superficie delle apparenze, ma va alle radici profonde dei fenomeni culturali, sia del passato che del nostro tempo. Fedele, in questo, al scire per causas ultimas, proprio del sapere filosofico.

In forza di tale radicalità di analisi è evitata l’equivocità e l’astrattezza sterile del procedimento logicistico allorchè, surrettiziamente, si sostituisce al vero sapere per causas.

Nel tema della persona Stefanini trova l’accesso al vero sapere, in cui la verità non si identifica con il puro conoscere ma include l’adesione di tutto l’uomo al suo essere totalmente se stesso; dal primo inizio della procedura conoscitiva, nel principio di identità dell’Io = Io, all’esito ultimo del senso della propria esistenza, quale valore assoluto ed unico, passando attraverso l’applicazione del rapporto con se stesso (in interiore homine), con gli altri (personalismo sociale), con Dio (l’ulteriorità insita nel concetto di esistenza quale dono  riconosciuto e accettato) e con la natura (concreatività dell’imago Dei nel mondo). Così la sua antropologia cristiana si dirama nelle varie forme della realizzazione di sé nel tempo, come personalismo impegnato a vario titolo nella prassi educativa, morale, politica, estetica, ecc.[17] Prassi dunque con radice metafisica, non vaga né mascherata. In particolare, la concezione dell’uomo quale imago Dei, implica tutta una serie di conseguenze: nel rapporto di somiglianza e di partecipazione con Dio si instaura il senso di complementarità tra razionalità e rivelazione divina; nel rapporto di somiglianza, non di uguaglianza con gli altri, si ha l’applicazione nella prassi della giustizia democratica, ove se il criterio dell’uguaglianza può uccidere la ricchezza della diversità, l’incomparabile originalità di ciascuno garantisce la libertà nella diversità.

Stefanini lega soprattutto così strettamente il tema della persona a quello del linguaggio da desumervi lo statuto intrinseco del concetto di persona. La persona è parola di Dio, come tale creata a sua immagine, assolutamente irripetibile e singolare. Come ogni divina parola è portatrice di un messaggio unico nel tempo. Nell’esplicazione della propria unicità, si fa rivelazione dell’assoluto. Ciò avviene in modo speciale nell’arte, dove è più evidente l’atto creativo (concreativo) umano, ma anche in ogni altra attività dello spirito umano che, nella finitezza, ha il privilegio di riprodurre l’atto infinitamente creativo di Dio. Privilegio di essere persona ossia parola di Dio nel tempo.

Non a caso, quindi, è “la Parola” il tema ricorrente in Stefanini. Parola come Logos, discorso, ragionamento, espressione della realtà vissuta, in primis nella “esperienza personale”. Ed ogni esperienza personale, prima di qualificarsi come esperienza estetica, morale, religiosa, politica, ecc. deve poter “esprimersi” come parola della persona. Come dire: nel linguaggio, nell’uso delle parole e nella scoperta della radice razionale di ogni parola, quale è dato riscontrare nella verità del Logos cristiano, riconosciuto e amato nella Persona stessa del Verbo incarnato, si costruisce una prospettiva filosofica che investe direttamente tutti gli ambiti dell’esercizio della parola. Esercizio per eccellenza del pensare e della virtù filosofica, nella pratica dell’esperienza interpretativa del senso dell’esistenza.

 

[1] Si è soliti far iniziare il pensiero moderno dal cogito cartesiano, per farlo approdare alla fenomenologia e all’esistenzialismo del Novecento, od anche, volendo, alla cosiddetta dissoluzione della razionalità, quale crisi della ragione, su cui da qualche decennio si ritorna come ad un tema ricorrente. Il contributo di pensiero di Stefanini sulla modernità getta luce nuova, per lo meno con linguaggio nuovo, cui è d’obbligo rifarsi.

[2] L. STEFANINI, GIOBERTI, Bocca, Milano 1947, p.217.

[3] Cfr. Relazione di U. Muratore al Convegno di Treviso su ROSMINI E STEFANINI, ed. Prometheus, Milano 1998, pp.37-52.

[4] In questo senso, la visione filosofica della storia di Stefanini, come ampiamente e analiticamente esposta nel volume LA CHIESA CATTOLICA [ed. Principato, Milano 1944], è sempre di attualità. Come se quell’unica luce, rimastagli durante la tragedia della seconda guerra mondiale (alla prima egli aveva partecipato in prima linea), fosse stata messa a dura prova, uscendone vincente sull’irrazionalità e sulle stesse compromissioni di una razionalità che l’ha misconosciuta.

[5] Il linguaggio di Stefanini mutua sovente espressioni dall’idealismo gentiliano, pur senza identificarsene; assume ampiamente l’istanza della conoscenza sperimentale, senza riconoscersi nell’empirismo; e considera consono al suo personalismo l’interesse per il linguaggio dell’esistenzialismo, depurato da scorie irrazionalistiche. Così, pur non imparentandosi con nessuno di quei linguaggi, persegue l’operazione che lo riallaccia al tentativo giobertiano della Reivindicatio. È sufficiente rileggere una sua pagina per convincersene. Parlando del Gioberti, scrive che a proposito dell’idealismo romantico: egli “vi si trovò a suo agio, perchè il primato dello spirituale, che col culto dell’idea, vi è professato, è il primo elemento di quella reivindicatio che gli ferveva nell’animo e che egli si accingeva ad operare. Accettare il  punto di vista gnoseologico, offertogli dal criticismo idealistico, era collocarsi nella sfera della intelligibilità, dalla quale il sensibile è giudicato, capovolgendo il procedimento empiristico…[…]…: era rientrare, attraverso un’apparente diversione, nella via maestra della tradizione cattolica.

Ma in questa prima accettazione era implicito il primo rifiuto:…l’errore dell’assolutezza del soggetto…[…]. Pur adempiendosi nella razionalità, l’esistente non si soddisfa in se medesimo, anzi alimenta di ogni sforzo fecondo e di ogni vana presunzione il senso esasperante della sua finitezza e della sua contingenza. Il pensiero non assolutizza l’uomo; l’uomo non esaurisce l’essere, ma resta incluso nel circolo dell’essere; questa è la parola opposta all’idealismo dalla recentissima filosofia che, volendo rispecchiare la reale situazione dell’esistente, si dice esistenzialistica; questa è anche la parola che, pronunciata molto prima dal Gioberti, costituisce uno dei motivi della sua presenza viva ai nostri attuali interessi. Usciti, come lui, dall’esperienza idealistica, non per averla evitata, ma per averne toccato il fondo, noi ci interroghiamo, come lui, sul mistero dell’uomo che sorpassa l’uomo e misura la propria finitezza, pur senza possedere, come propria condizione, il regolo dell’infinità e dell’assolutezza” GIOBERTI, p. 422.

[6] STEFANINI, GIOBERTI, pp.225-226 e 272.

[7] Da “L’estetica di Benedetto Croce”, in “Studium”, IL (1953), p. 30. Tale immedesimazione Stefanini fa propria, dichiarandosi tuttavia estraneo a certo zelo “che vigila con diffidenza intransigente tutti gli accessi alla casa del Signore e ne fruga tutti gli angoli per scoprirvi qualche ospite sospetto” (GIOBERTI, p.420).

[8] A. CARLINI, “Incontri e scontri con Stefanini e con Sciacca“, in  “Giornale critico della filosofia italiana”, 1950 n.4, p. 487.

[9] Nel linguaggio Stefanini è sistematico nel senso della rigorosa coerenza interna nell’uso dei termini, non nel senso di costruzione di un sistema accanto ad altri.  È pertanto corretto rilevare, come fa L. Corrieri nella sua tesi di laurea sul Personalismo filosofico di L. Stefanini, la peculiarità di tale rielaborazione in chiave moderna: “peculiarità riscontrabile nella congiunzione di personalismo e immaginismo, dell’interesse metafisico con quello estetico, per dar ragione della totalità del reale, la cui sintesi si concentra nella “parola”, intesa non soltanto come attività espressiva, quanto come principio metafisico poiché “nella sua natura personale, l’essere è parola” (Università di Firenze, relatore Paolo Rossi, 1993-94, p.127).

[10]  Parlando dello stile del Gioberti maturo, meno aulico, Stefanini lascia trapelare un’adesione simpatetica, quasi vi ravvisasse consonanza con il proprio stile: “mobile ed energico, scolpito nella brevità dell’aforismo o disteso nell’ampio fraseggiare, caldo di un’eloquenza che non veste il pensiero, ma lo presenta nell’atto in cui erompe dall’anima commossa” (GIOBERTI, p. 428).

[11] Osserva Stefanini che la storia deve diventare mia, “attualissima nel mio pensare, riespressa dal fondo di tutta la mia esperienza d’uomo. Senza questa riespressione personale, gli uomini che ci hanno preceduto resterebbero muti per sempre” (Storia, storicità…, in “Giornale di metafisica” VIII (1953), p. 154).

[12] Come scrive a proposito di Gioberti, anch’egli vive nell’orbita dei principi cattolici; come lui ha “operato e combattuto, con tutta l’ansia di un’umanità vigorosa e generosa, per il loro riscatto dalla incomprensione e dalla contraddizione del pensiero moderno”. Stefanini opera e combatte con il “gusto di veder vivere, nel confronto con nuove esigenze del pensiero, un’idea che nella sua vocazione è diffusiva e nel suo nome è universale” (GIOBERTI, p.420).

[13] Relazione al Convegno Nazionale di Arezzo dell’1-4 maggio 1952, in  “La Nuova Italia letteraria”, I, n.3-4 1952, p.1.

[14] v. K.Wojtyla, Persona e atto, Rusconi, Santarcangelo (RN), 1999, p.17.

[15] AA.VV., Ricostruzione metafisica, Liviana, Padova 1949, p.24.

[16] Dice espressamente: “L’accostamento non è estrinseco o semplicemente analogico, ma vale a determinare il terreno storico-culturale in cui la psicanalisi è radicata”. Da Personalismo sociale, Studium, Roma 1952, p. 106.

[17] Ne conseguono le altre parziali e specialistiche prospettive di vita, nelle forme dell’educazione (problema della scuola), dei rapporti sociali (problemi della comunicazione), dell’economia (problemi della giustizia), ecc.

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